José “Pepe” Mujica, è ancora in vita, nonostante la falsa notizia in questi giorni della sua morte. Recentemente ha annunciato che il cancro all’esofago, diagnosticato nell’aprile 2024, si è esteso al fegato. A causa della sua età avanzata e di altre condizioni di salute, ha deciso di interrompere i trattamenti medici. “Quello che vi chiedo è di lasciarmi tranquillo. Non chiedetemi altre interviste o altro. Il mio ciclo è finito. Sto morendo e il guerriero ha diritto al riposo.”
Questo congedo è un addio che lascia un vuoto immenso ma anche un messaggio di serenità e accettazione che riflette la filosofia che lo ha caratterizzato durante tutta la sua vita.
Ex-guerrigliero del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, è stato torturato e imprigionato per 14 anni durante la dittatura militare che ha subito il suo Paese, l’Uruguay, negli anni ’70 e ’80, ed è stato presidente dell’Uruguay tra il 2010 e il 2015: uno dei presidenti più ammirati a livello internazionale.
La sua vicinanza al popolo e la sua instancabile difesa dei valori di uguaglianza e giustizia, sono nel suo discorso memorabile alle Nazioni Unite. Un discorso che non parla di crescita economica ma di crescita della felicità umana, non parla di economia di mercato, ma valore della vita.
Uomini di questo spessore sono e saranno l’esempio per un’Umanità degna di essere vissuta. In suo onore ho tradotto ciò che considero una sua preghiera laica:
IO, PEPE MUJICA
Vi racconto.
Sono stato guerriero tupamaro, agricoltore e politico.
Ma sono stanco.
Senza smettere di essere ciò che sono stato.
soprattutto, guerriero.
Ma ora sto morendo
e pure il guerriero ha diritto al suo riposo,
lo impone il tumore che mi sovrasta.
Tutte le strade della mia terra portano al mio cuore e so distinguere
ciò che è passeggero da ciò che è definitivo.
Sono stato io ad aver scelto questa strada
e non mi lagno dall’essere arrivato qui, a 89 anni.
Ma ho bisogno di silenzio.
Il silenzio è la fonte dei venti
che portano via l’eco de la vita,
le pugnalate ostili,
i denti, le spille, le bare,
gli strappi delle migliaia di brividi,
i turbinii di pianti e cordogli.
Lasciatemi nel silenzio
all’ombra dei miei fichi e dei miei meli,
della lingua che resiste alle parole
che feriscono a tradimento,
delle sponde che baciano i tramonti
leccati dalle onde.
Ridatemi il silenzio,
poiché voglio curare la ferita
che mi lascio nell’anima
il dolore delle foreste devastate,
dei boschi di cemento dove crescono
la povertà insuperabile,
la giustizia non realizzata,
le libertà infrante.
Ridatemi il silenzio,
poiché voglio ritornare ai miei ortaggi,
mentre, tranquillamente,
In attesa della pace inevitabile,
medito sulla bellezza della vita,
su quante volte sono caduto e su quante altre mi sono rialzato,
sui buoni amici che mi accompagnarono
e hanno persino ballato insieme a me.
Ridatemi la pace
e non chiedetemi più parole.
Ho bisogno del miracolo
delle labbra chiuse
delle bocche mute
delle ombre tiepide
dei battiti assenti.
Guerriero sono e continuerò a lottare,
la vita mi perseguita
pur se sto morendo.
Quanta vita c’è nella morte!
Quanta di più c’è nella vita!
Hasta Siempre, comandante Facundo!