A che serve ricordare se le vittime di un genocidio sono i carnefici di oggi?
Questa sembra essere la domanda di fondo di tanti dibattiti, articoli e riflessioni di questi giorni, a cavallo del Giorno della Memoria.
Il Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno, è una ricorrenza internazionale istituita per ricordare le vittime dell’Olocausto, il genocidio perpetrato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa giornata è stata ufficialmente riconosciuta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2005, e in Italia è stato introdotto nel 2000 con una legge che ne ha sancito l’importanza. Il 27 gennaio è stato scelto perché in questa data, nel 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, uno dei simboli più tragici della Shoah. Durante il Giorno della Memoria, si ricordano non solo gli ebrei vittime del regime nazista, ma anche le altre minoranze perseguitate, come i rom, i disabili, gli omosessuali e i prigionieri di guerra.
Molto prima del Giorno della Memoria, in una conversazione con Eszter Koranyi, co-direttrice di Combatants for Peace, ho avuto modo di parlare di memoria, strumentalizzazione della memoria per giustificare massacri e possibile ruolo coraggioso e compassionevole della memoria.
Combatants for Peace è un movimento bi-nazionale fondato nel 2006 da ex-combattenti israeliani e palestinesi che hanno deposto le armi e rifiutato la violenza. L’organizzazione lavora insieme per porre fine all’occupazione, promuovere una pace giusta e dimostrare che israeliani e palestinesi possono collaborare e vivere insieme.
Come mamma di due bambine con cognome ebraico e partner di un compagno israeliano, che faceva parte di Combatants for Peace, sento un coinvolgimento profondo in quello che accade in Israele-Palestina e accanto al dolore e alla tristezza, la responsabilità di educare le mie figlie affinchè possano essere sempre consapevoli delle ingiustizie e dell’oppressione, possano avere il coraggio di dire: “Non nel mio nome” ogni volta che la violenza è giustificata da traumi passati, e che possano camminare fermamente su sentieri di pace. Accanto a questo, sento la responsabilità di portare voci che vadano oltre le polarizzazioni di questo momento, che da un lato fomentano l’antisemitismo e dall’altro l’islamofobia.
Da tutto ciò, nasce la mia proposta alla maestra Francesca della Scuola Primaria di Fauglia “Papa Giovanni Paolo II” (Pisa), di un incontro tra i bambini e le bambine della scuola con Eszter Koranyi.
L’incontro si è svolto mercoledì 29 gennaio 2025 presso l’agorà della scuola, alla presenza di tutte le classi, le maestre e i maestri, i collaboratori e le collaboratrici, e in collegamento zoom con Eszter.
La maestra Paola ha dato la cornice dell’incontro, spiegando che le classi stanno lavorando sul libro “Il cavaliere delle stelle” che racconta la storia di Giorgio Perlasca.
Giorgio Perlasca è stato un italiano che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si fece passare per un diplomatico spagnolo e salvò migliaia di ebrei ungheresi dalle persecuzioni naziste. Con il suo coraggio riuscì a proteggere oltre 5.000 persone, diventando un “Giusto tra le Nazioni”.
Ho aperto l’incontro condividendo la motivazione del mio personale coinvolgimento nel conflitto israeliano-palestinese e portando la domanda: “come ricordiamo, quando ricordiamo?”
Ho chiesto di ricordare un episodio di ingiustizia e sentire quali emozioni e sensazioni arrivassero. “Mi sento male” è stata la prima risposta. “Tristezza”. “Rabbia”. E dalla rabbia, cosa arriva? “Vendetta” ha risposto subito qualcuno.
Dalle risposte dei bambini e delle bambine, basate sul loro stesso sentire, si sono forse potute intravedere sia la dinamica che porta dalla rabbia, alla vendetta, alla giustificazione di ulteriore violenza e sia, per opposizione, la dinamica che si fonda sull’apertura del cuore e il coraggio.
Coraggio e compassione sono forse state le parole chiave che sono ritornate durante l’incontro.
Il coraggio di fare la cosa giusta, come ha fatto Perlasca. “E come sentiamo cosa è giusto?” Qualcuno ha detto: “è giusto se rispetta le regole”. E come sappiamo se le regole sono giuste? Perlasca si è opposto a regole non giuste. Qualcuno ha risposto: “dal cuore”. Non occorre e non basta la conoscenza approfondita della complessa questione israelo-palestinese, “grandi” studiosi dibattono opinioni distanti senza trovare accordo su cosa è giusto, come ho condiviso con i bambini ele bambine. E loro ci ricordano che occorre recuperare la saggezza del cuore. Qualcosa è giusto quando non è giusto solo per me, i “miei”, il mio gruppo, ma è giusto per tutti-e.
Il coraggio della cosa giusta…
Ho invitato Eszter a raccontare la sua storia personale e familiare come esemplificazione di come si sceglie di ricordare.
Eszter ha condiviso con generosità la sua storia familiare. Alcuni dei suoi familiari ebrei ungheresi sono morti nella Shoah. Le sue nonne che si sono salvate le hanno lasciato un messaggio di pace, ricordare perché non succeda mai più, e sottolineando che non succeda mai più non solo alla loro famiglia, al loro gruppo, agli ebrei, ma non succeda mai più a nessun altro.
Eszter ha parlato in modo semplice di come alcuni israeliani siano intrappolati nella rabbia, nella paura e nel trauma e che questo li porta alla scelta della guerra. Lei, seguendo i messaggi delle sue nonne, con altri israeliani sceglie di essere al fianco dei palestinesi opponendosi all’ingiustizia, alla violenza e lavorando per un mondo di pace.
Siamo tornate alla parola coraggio.
Ho portato un esempio concreto ai bambini e alle bambine di una dinamica di esclusione e disumanizzazione, coinvolgendoli. Come ci si sente vedendo questa dinamica e cosa si può fare? “Male”, “loro si sentono esclusi”, “si parla con chi esclude”, “si va a giocare con i bambini che sono nel gruppo degli esclusi” “si cerca di capire perché gli altri vogliono escludere”. Pian piano sono emersi i passi che vanno dal l’empatia, la compassione, l’esercizio di ascolto dell’altro, la mediazione, il fare da ponte, il ribellarsi a dinamiche ingiuste.
Alla fine dell’incontro le parole dei bambini e delle bambine sono state: “coraggio”, “stupito”, “bello”, “bellissimo”, “interessante”, “avventura”… sì la pace come avventura, al di là dell’immagine comune naif di quiete e stasi, la pace è attiva, è un’avventura coraggiosa.
Con i bambini e le bambine ho condiviso la poesia dell’artista gazawi Hannen Sabbah e gli stralci del discorso di Miriam Turmalin, israeliana di Combatants for Peace.
La poesia e gli stralci sono estrapolati dall’evento online di Giornate Internazionali online di Commemorazione “Every Life, A Universe”, un evento in cui israeliani e palestinesi hanno scelto di commemorare insieme i morti dell’una e dell’altra parte, non per equiparare le narrazioni, ma come un’apertura del cuore straordinaria, in cui il cuore si apre al dolore dell’ “altro”, considerato comunemente “il nemico”.
La notte oscura dell’anima…
La profondità dell’oscurità più profonda
delle guerre, del dolore e della sofferenza…
Non posso fare nulla. Non posso provare altro che questa angoscia insopportabile.
Chiedo allo spirito un amore profondo,
chiedo di essere abbastanza coraggiosa
da essere presente con questa angoscia,
affrontare questo nudo incontro con la realtà
e dare vita a una nuova speranza.
– Hannen Sabbah
… Che possiamo non arrenderci neanche nella notte più buia…
Quelli che tengono viva la visione della guerra sono così forti
perché sanno quanto sia potente tenere viva una visione della guerra…
Quindi… dobbiamo tenere viva la visione della Pace e agire di conseguenza.
…
Cammino attraverso questa Terra
immaginando che un giorno possiamo vivere qui insieme…
… Ricordando la sacralità di questa terra, di tutti i popoli e di tutti gli esseri…
… Culture intrecciate, una tale abbondanza di bellezza…
– Miriam Turmalin
(NB: le frasi di Miriam non sono nell’ordine in cui le ha pronunciate,
ho fatto un collage degli stralci dando una forma “poetica”)
Ilaria Olimpico