Venerdì 24 gennaio al circolo ARCI Porco Rosso di Palermo si è svolto un animatissimo e affollato incontro per celebrare il compleanno di Alarm Phone, che compie 10 anni. Erano presenti ragazze e ragazzi di Mediterranea, la Ong che pratica soccorsi in mare dal 2018 e si definisce “la flotta di un’Europa diversa”, e di Mem.med, altra Ong che ha una vocazione molto delicata e particolare: aiuta i familiari dei naufraghi a riportare in patria i corpi dei propri cari per custodirne la sacralità e la memoria.

Ma la festeggiata era Alarm Phone, i cui portavoce da diversi paesi europei si sono succeduti per raccontare la loro storia, valendosi di una serie di diapositive e video e di due nuove pubblicazioni: Alarm Phone 10 anni di lotta e Watch the Med. Alarm Phone Scrapbook 2024. Si tratta di due volumi ricchissimi di foto, disegni, aneddoti, testimonianze in tante lingue diverse, ma anche documenti e tabelle statistiche e perfino ricette di cucina, raccolte in tutti questi anni di attività da ogni angolo del Mediterraneo e delle terre che lo delimitano o vi sono connesse attraverso i flussi migratori, dal Senegal all’Afghanistan, dalla Siria al Congo, dal Bangladesh al Sudan.

Alarm Phone, come ci riferisce l’introduzione dello Scrapbook, è una rete telefonica di emergenza per persone in pericolo nel tentativo di attraversare i confini europei del Mediterraneo centrale, del Canale di Sicilia, dell’Egeo o lungo altre rotte. Prima che l’associazione si definisse ufficialmente, esistevano già diversi volontari che si mettevano in ascolto e facevano da tramite con le imbarcazioni di soccorso. Ma erano in difficoltà per mancanza di coordinamento, di tempo e soprattutto di traduttori.

Così decisero di darsi una struttura più funzionale, a partire dai giorni del naufragio dell’11 ottobre 2013 nel quale perirono 366 persone (300 siriane) nei pressi di Lampedusa a causa del ritardato intervento della Guardia Costiera italiana.
Racconta Maurice Stierl, che è tra i cofondatori, di aver ricevuto la sua prima telefonata a Berlino nell’ottobre ’14 alle cinque del mattino da una barca partita dal Marocco e diretta in Spagna.

Un’altra forma di sostegno, oltre alla localizzazione satellitare e alla comunicazione del mayday a navi o aerei in sorvolo presenti in zona, è il lavoro di preparazione svolto a terra: alle comunità in procinto di partire gli attivisti spiegano le misure di sopravvivenza a bordo, nei luoghi di sbarco danno supporto logistico per l’alloggio e la validazione dei documenti.
Tutte queste attività comportano il rischio di denunce e arresti per complicità con il traffico di clandestini o quant’altre accuse i governi europei non si periteranno di inventare.

Ma Alarm Phone, si legge sempre sullo Scrapbook, “è una rete di circa 300 persone [che rispondono da Zurigo a Brighton, da Saint Etienne a Monaco e a Losanna, da Marsiglia alla Catalogna a Vienna e a Calais…], persone che credono in un mondo senza frontiere. Il nostro lavoro è anche anti-fascista, è una pratica anti-razzista e in questo senso un processo di decostruzione e di apprendimento. Apprendiamo come funzionano i sistemi globali di oppressione, violenza di stato, abituale inadempienza del diritto. E ci insegniamo reciprocamente la resistenza, le azioni sovversive e la mutua cura. […]

È lunga la lista di chi fronteggia o fugge la guerra, il genocidio, il neocolonialismo, la dittatura, i cambiamenti climatici, il sessismo, la pulizia etnica, lo spossessamento, la carestia, l’avidità delle multinazionali, la brutalità dei governi, la militarizzazione e l’erosione culturale, la violenza anti-queer, il capitalismo, lo sfruttamento economico, la persecuzione religiosa o politica. […]
Noi testimoniamo il lutto, il dolore e la rabbia – e testimoniamo la resistenza. I nostri corpi tengono il conto.[…]

Possono inventare nuove leggi, costruire mura più alte, sviluppare tecnologie più avanzate nei loro sforzi di fermare la gente che è in cerca di salvezza. Ma è quotidianamente provato che questo non fermerà il movimento dei popoli. Quello che si ottiene è un crescendo di violenza ai confini, di morte e sofferenza. Ma la gente troverà sempre una via, e noi la sosterremo. Mattone dopo mattone, muro dopo muro, alla fine l’ultima frontiera crollerà: la libertà di movimento è un diritto di ognuno, noi siamo qui e combatteremo”.

È stato quindi illustrato il progetto “Sailing for Blue Lab”: la vicenda di un Circolo Arci Navigante, una barca a vela che può ospitare sette persone di equipaggio (ma ha anche accolto decine migranti salvati da acque in tempesta) e che si propone come “laboratorio per l’innovazione sociale, i diritti umani e la tutela dell’ambiente marino”. Vi lavorano, tra gli altri, giovani del Laboratorio di salute popolare di Bologna “Labas” (Laboratorio d’assalto) che fa parte dei Municipi Sociali di Bologna ed è in contatto con la Rete di Ambulatori di medicina popolare di Palermo.

Affermano: “Ci stanno disumanizzando, dicono che la lotta di classe è finita e invece c’è ed è quella dei ricchi contro i poveri”.
Di qui la necessità di fare rete…e noi la tessiamo!

Alessandra Sciurba
barca senegalese
equipaggio del circolo navigante Arci
padre Mussie Zerai
un momento dell'incontro
il racconto del fondatore di AP Hagen Kopp
il racconto del fondatore di AP Hagen Kopp