Il 6 gennaio, nella sala delle deliberazioni del Comune di Malika (Dakar), si è tenuto un incontro di formazione con animatrici e animatori del progetto “Résaux de Femmes: autonomisation des Femmes et des droits de genre au Sénégal”, promosso da Energia per i Diritti Umani e cofinanziato dalla Fondazione Prosolidar. Il progetto mira alla creazione di campagne di sensibilizzazione su diritti e violenza di genere presso case, scuole e gruppi di donne della periferia di Dakar, in Senegal.

L’incontro ha visto come ospite il professor Hussain Mohi-ud-Din-Qadri, vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Minhaj University di Lahore, sede della School of Religion and Philosophy. In collegamento diretto dal Pakistan, il professore, specializzato in studi interreligiosi e de-radicalizzazione islamica, ha condotto un intervento incentrato sull’interpretazione del Corano e di come quest’ultima abbia, quando distorta, impattato negativamente la condizione femminile.

Il problema sottolineato nel corso della discussione è stato l’equivoco frequente tra religione e cultura, che porta a legittimare, in nome della religione, pratiche e comportamenti che di fatto appartengono ad usanze sviluppatesi in seno alla popolazione, spesso deviando radicalmente dal contenuto del dettato coranico.

In questo senso, un esempio piuttosto calzante ha riguardato la visione del Corano sulla poligamia: durante la trattazione è stato sottolineato come la religione islamica non la incoraggi affatto, ponendola soltanto come possibilità residuale ammissibile per specifiche situazioni (a differenza dell’opinione maggioritaria che, in Senegal, la dipinge come condizione usuale).

Altri esempi hanno riguardato il diritto alla pianificazione familiare, spesso negato nonostante sia sancito dai testi sacri, contemplando anche l’aborto rispetto a circostanze di necessità medica ed economica; l’assenza nel Corano di prescrizioni persecutorie verso le persone omosessuali (a discapito della violenta discriminazione cui esse sono sottoposte); la natura del lavoro domestico come mera facoltà della donna di contribuire, insieme al partner, alla gestione domestica (e non, nel modo più assoluto, come un ruolo confinato al genere femminile o un obbligo da adempiere a carico di quest’ultimo).

Le conclusioni dell’intervento hanno sottolineato come ciò che spesso viene giustificato su base religiosa abbia invece matrice culturale, discendendo da tradizioni e credenze cristallizzate, in primis, da una società patriarcale trasversale alla maggior parte dei Paesi del mondo. In tal senso risulta fondamentale individuare il criterio di distinzione tra cultura e religione, che risiede in un giudizio di comparazione sulla compatibilità dei costumi e dei comportamenti rispetto al dettato religioso: per delimitare il confine tra le due, si renderà necessario verificare che i contenuti della religione (così come originariamente enucleati) siano rispecchiati dall’attitudine culturale. Ad esempio, nel caso dell’Islam, laddove la consuetudine si discosti da quanto effettivamente prescritto nel Corano originando discriminazione, si renderà evidente che l’iniquità di trattamento discende da un fattore meramente culturale.

Analogamente possono essere inquadrati i rapporti tra legislazione e dettato religioso: l’Islam invita al rispetto dello Stato e delle istituzioni, intese come potere autonomo e vincolante. Pertanto, anche se la legge di un Paese a matrice islamica non dovesse rispettare quanto previsto dalle leggi coraniche, si dovrà sollevare il problema nelle sedi giudiziali opportune e per nessun motivo sarà ammesso lo sviluppo di una prevalenza tout-court della religione. Ciò si è purtroppo verificato invece in Paesi come Iran e Arabia Saudita, dove prescrizioni religiose e normative sono arrivate a coincidere, anche su basi spesso infondate.

Il tema normativo era stato toccato peraltro anche durante la precedente giornata di formazione del 5 gennaio, nel corso della quale un confronto tra legislazione internazionale, europea e locale aveva portato alla conclusione per cui, quando si parla di diritti umani, la legge trascende confini geografici e culturali per enucleare principi e tutele che trovano una comunanza trasversale nel loro nucleo fondante.

Interessante quindi constatare come apparato giuridico e religioso, in quanto prodotto umano, costituiscano di fatto un sistema di garanzia contro i meccanismi di violenza, nonostante il margine interpretativo, in entrambi i casi, abbia di fatto aperto la possibilità di una deviazione applicativa su cui è necessario vigilare con costanza.

L’incontro del 6 gennaio si è rivelato un meraviglioso spaccato sulla trasversalità dei principi delle grandi religioni monoteiste che, per quanto manipolabili in punto di interpretazione, nella loro radice ultima mirano alla salvaguardia dell’essere umano. Come ogni forma di spiritualità, la tendenza alla nonviolenza trova nell’Islam un’espressione compiuta, benché spesso soffocata da interferenze culturali che originano sofferenza e discriminazione. Il dialogo tra il professore e la platea, superando migliaia di chilometri e barriere culturali, ha illuminato zone d’ombra ed aperto orizzonti di senso, creando canali di comunicazione tra chi, pur non parlando la stessa lingua e provenendo da mondi diversi, ha riconosciuto nell’interlocutore una base valoriale comune che ha come principale aspirazione la libertà e la dignità umana.

L’augurio è che il tentativo di comprendersi e costruire insieme manifestatosi in questa giornata sia di ispirazione per un cammino di evoluzione di coscienza che ci riguardi tutti e tutte come esseri umani.

Federica De Luca