I posti di blocco per recarsi verso il West Bank vengono trasformati ogni giorni in luoghi di violenza e umiliazione ai danni del popolo palestinese.
Attualmente, nella Striscia di Gaza vige una tregua, un cessate il fuoco che, seppur tra molte difficoltà, consente a parte della popolazione palestinese di tentare di rientrare nelle proprie città. Gli abitanti stanno cercando di verificare le condizioni delle loro case e, per i più fortunati, di recuperare alcuni beni personali.
Un vasto movimento di Palestinesi si sta dirigendo verso la Cisgiordania, con l’intento di spingersi oltre e migrare verso nord. Tuttavia, questa migrazione incontra numerose difficoltà, poiché l’esercito israeliano ha intensificato i posti di blocco, che attualmente ammontano a quasi 900 e sono destinati ad aumentare nelle prossime settimane.
Ci sono testimonianze che raccontano di posti di blocco dove, oltre ai normali controlli, si verificano abusi, umiliazioni e altri ostacoli al movimento di persone sopravvissute a un genocidio. In questo periodo di fragile tregua, queste persone cercano di spostarsi verso zone meno pericolose. Haaretz, uno dei più autorevoli quotidiani della regione, riporta anche omicidi di palestinesi da parte di membri dell’esercito israeliano durante i controlli ai posti di blocco.
Minacce contro un popolo già martoriato da questo conflitto, che ha perso case, familiari, amici e mezzi di sostentamento. Nel loro disperato tentativo di migrare verso terre dove ricostruire una vita, affrontano ostacoli e intimidazioni che intralciano il loro cammino. Queste barriere mirano a confinarli all’interno della Striscia, consapevoli che la pace è fragile e potrebbero presto trovarsi di fronte a un genocidio latente.
I tempi di attesa ai posti di blocco possono prolungarsi fino a otto ore, un’esperienza estenuante dietro cancelli che le forze di Benjamin Netanyahu possono chiudere in qualsiasi momento e per un periodo indeterminato, a loro totale discrezione.
Le attese trasformano anche i più piccoli spostamenti in vere e proprie odissee. Una delle tratte più frequentate, come quella tra Ramallah e Gerico, solitamente percorsa in 45 minuti, può ora richiedere fino a 5 ore, secondo alcune fonti.
Nel frattempo, i coloni israeliani si impegnano in atti intimidatori, approfittando della loro lucidità e della fragilità fisica ed emotiva dei palestinesi, che affrontano da quasi un anno e mezzo la fame e le restrizioni. I coloni, in gruppo, attaccano veicoli, circondano persone per intimidirle e talvolta derubarle.
Aggressioni continuano a verificarsi nel campo profughi di Jenin, una delle città simbolo dei conflitti tra Israele e Palestina. Recentemente, si è diffusa la notizia di un possibile ordine di evacuazione, in quanto l’esercito israeliano sembrava pianificare un’importante azione militare nell’area. Tuttavia, le autorità israeliane hanno smentito tali operazioni, che attualmente non sembrano essersi concretizzate. Questo allarme ha comunque provocato confusione e agitazione sia all’interno del campo profughi che in tutta Jenin.
In questo clima di incertezza e instabilità, i coloni trovano terreno ideale per operare più liberamente, intensificando le aggressioni contro i palestinesi. Queste azioni sembrano quasi autorizzate da uno dei primi atti del nuovo presidente statunitense Donald Trump, che ha rimosso le sanzioni contro i coloni israeliani nel suo primo giorno in carica.
Questa affermazione rappresenta una legittimazione degli atti di violenza e invasione compiuti da Israele e dai suoi coloni nei territori occupati della Palestina e della Cisgiordania.