Con un’intervista ad effetto il ministro leghista dell’istruzione, Giuseppe Valditara, ha presentato alcuni punti delle nuove linee didattiche che dovrebbero trasformare alla radice alcuni insegnamenti nelle nostre scuole dal 2026-2027. A proposito della Storia ha affermato che, fin dalla primaria, “l’idea è di sviluppare questa disciplina come grande narrazione, senza caricarla di sovrastrutture ideologiche”, aggiungendo subito dopo che “dovrà essere privilegiata la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”. Ma non è proprio questa la più “ideologica” delle scelte?

Di fronte a un mondo in tumulto e in straordinaria trasformazione, in cui non si comprende nulla di ciò che succede senza tenere presente ciò che accade ed è accaduto nel mondo tutto intero, in tutti e cinque i continenti a partire dalla storia delle tante migrazioni e dei tanti colonialismi, la scuola che Valditara sta cercando di imporre cerca le sue radici nella centralità dell’idea di “italianità”, proposta da Ernesto Galli della Loggia.

Tutto ciò mi sembra straordinariamente diseducativo e propongo un esempio per farmi capire. Anni fa mi capitò di ospitare in classe Tapa Sudana, un attore della compagnia del grande regista Peter Brook che veniva dall’isola di Bali. Ci raccontò che, quando venne in tournée per la prima volta in Europa, fu ospitato a Parigi dalla famiglia di un attore francese. Appena arrivato in quell’appartamento istintivamente si mise a cercare il luogo della casa dedicato agli antenati. Nelle povere capanne con il pavimento di terra battuta del suo villaggio non ce n’era una che non avesse un angolo dedicato a nonni, bisnonni e avi di più generazioni. Chiese conto di questa mancanza, che a lui pareva assurda, e si rese conto che in Europa questa antica tradizione di “tenere in casa” in qualche modo gli antenati si era spenta da tempo, forse da secoli, se non in certi aspetti della cultura contadina. Ne discutemmo a lungo in classe perché questo racconto ci fece capire profondamente cosa fossero i Lari per gli antichi romani, rendendo vive le letture e i documenti trovati nei libri che stavamo studiando in quinta primaria. Un’esperienza antropologica lontana nel tempo la stavamo intendendo facendo un viaggio di andata e ritorno nello spazio, dall’Europa all’Asia e dall’Asia all’Europa. Ci siamo domandati anche se le costruzioni e convinzioni culturali avessero viaggiato da una cultura all’altra o si presentassero simili in regioni tanto lontane perché derivavano da bisogni “elementarmente umani”, come ipotizzava l’antropologo Ernesto De Martino.

È solo un piccolo esempio per sostenere che il mondo è grande e non c’è cosa migliore che incuriosirsi alle tradizioni più diverse di ogni continente fin da piccoli, se vogliamo educare e porre basi per una concreta e consapevole fraternità universale, che i nostri chiacchieroni governanti dalle bugiarde radici cristiane sembrano dimenticare o voler soffocare in un’angusta idea di patria, piccola piccola, ignorante ignorante.

 

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