Secondo le prime notizie raccolte il primo gennaio non avrebbero avuto esito le ricerche dei 20 dispersi, tra i quali 5 donne e 3 bambini, dopo il soccorso di un barchino “davanti le coste di Lampedusa“, avvenuto il  31 dicembre 2024. Tra i sette superstiti, trasferiti nel centro hotspot di Contrada Imbriacola ed oggi a Porto Empedocle con un traghetto di linea, due siriani, due sudanesi e due egiziani, un bambino siriano che ha perso la madre.

I naufraghi sono stati presi a bordo da una motovedetta V1104 della guardia di finanza, per altre fonti, “agganciati” da una di queste motovedette generalmente impegnate nelle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) a sud di Lampedusa, mentre la Guardia costiera sarebbe intervenuta in una seconda fase, per la ricerca dei dispersi.
Per un successivo comunicato dell’ANSA,il barchino era salpato, da Zuwara in Libia, alle 22 di lunedì, “Dopo che il barchino di vetroresina di 6 metri è salpato, alle 2 circa ha iniziato a imbarcare acqua. Fra le 2,30 e le 3, l’agitazione delle 27 persone a bordo è diventata panico. ‘Non si è capito più niente, eravamo tutti terrorizzati. La barca si è inclinata e molti sono caduti in acqua’ ”.

Dunque le venti persone disperse sarebbero finite in mare in zona Sar libica, non si vede come si possa parlare di zona SAR maltese, se non per confondere le acque, attorno alle 3 di martedì 31 dicembre. Secondo questa nuova ricostruzione,” la barca ha imbarcato acqua e si inclinata” … “a circa 20 miglia dalle coste libiche, quindi in area Sar libica o maltese”. In base a quanto comunicato dalla stessa agenzia, “i 6 migranti adulti – 2 siriani, 2 sudanesi e 2 egiziani – a bordo del natante hanno ricostruito, in maniera concorde, tutti i dettagli della loro traversata. Il barchino era salpato, da Zuwara in Libia, alle 22 di lunedì, è giunto fino a Lampedusa con i 7 migranti superstiti al naufragio – fra cui il bimbo siriano di 8 anni – ed è stato agganciato, sotto costa, dalla motovedetta della guardia di finanza”. “La barca si è inclinata e molti sono caduti in acqua”, hanno ricostruito i migranti. La barca non si è quindi capovolta, né si è inabissata. “Entrambi i centri di coordinamento dei due Paesi, acquisite le ricostruzioni, sono stati subito informati. L’Italia, impegnata su altre segnalazioni, non sta più quindi effettuando ricerche. Ieri, anche con aereo, è stata pattugliata l’area, ma l’esito è stato negativo. “Ci siamo allontanati velocemente perché c’era un fortissimo vento e una forte corrente del mare”, hanno aggiunto i 6 migranti che, adesso, assieme al bimbo di 8 anni, sono già sul traghetto di linea che giungerà in serata a Porto Empedocle”.

Le informazioni diffuse dall’agenzia ANSA destano ancora dubbi, malgrado l’asserita certezza delle dichiarazioni “concordi” raccolte tra i naufraghi, peraltro da fonte non citata. Mancano comunicati ufficiali su quanto accaduto, quando l’imbarcazione partita da Zuwara in Libia avrebbe avuto una inclinazione improvvisa, tanto che venti suoi occupanti sarebbero finiti in mare, ma tuttavia sarebbe stata nelle condizioni di proseguire la rotta verso Lampedusa, pur imbarcando acqua.

Come è stato possibile che il barchino abbia compiuto in un tempo così breve un percorso tanto lungo, dal momento della caduta in mare di venti dei suoi occupanti, alle ore 3 circa di martedì, “a venti miglia dalla costa libica”, arrivando ad essere soccorso vicino alle coste di Lampedusa nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, dopo avere seguito una rotta di circa 100 miglia (170 chilometri), pur avendo subito una inclinazione tanto forte ed avere imbarcato acqua? Nessun barchino di questo tipo, si ricorda che era lungo circa sei metri, e trasportava 27 persone, ha compartimenti stagni, o una struttura, che garantiscano un tale capacità di galleggiamento se imbarca acqua, o è autoraddrizzante. Che l’imbarcazione si possa essere capovolta, e successivamente raddrizzata di nuovo, senza compromettere la funzionalità del motore fuoribordo e senza perdere in mare i serbatoi, è una ricostruzione assolutamente fantasiosa.

Le informazioni diffuse sono dunque assai contraddittorie, e andranno verificate nelle sedi opportune. Eppure il Piano nazionale SAR del 2020, approvato con Decreto Ministeriale numero 45 del 4 febbraio 2021, disciplina al settimo capitolo i rapporti delle autorità marittime con gli organi di informazione, prevedendo specifici doveri di comunicazione degli eventi di soccorso con l’obbligo di salvaguardare le norme sulla privacy soprattutto laddove ricorra la presenza di minori, ma stabilendo che “nell’ottica, quindi, di assicurare un’informazione la più possibile rapida, obiettiva ed uniforme, senza distrarre il personale o intralciare la primaria esigenza di assicurare l’efficienza del soccorso, è assolutamente indispensabile che le notizie siano date”, tra le altre condizioni, “con tempestività, regolarità e cadenza fissa, possibilmente giornaliera”. Secondo lo stesso Piano SAR nazionale inoltre, “è necessario: non mentire/cercare scuse/accusare altri; evitare di azzardare valutazioni non supportate da fatti/dati; non utilizzare lo scudo del “NO COMMENT”, bensì spiegare perché non si è in grado di rispondere”. Ma al contrario si rileva che, secondo le più recenti disposizioni impartite dal Viminale, tutte le informazioni riferibili agli sbarchi di migranti soccorsi in mare vengono secretate, e non solo quando ad operare sono le ONG, come si sta verificando anche in questa occasione.

Tutto lascia prevedere che, come altre volte in passato, al di là della consueta inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento a carico di ignoti per la ricerca degli “scafisti”, resteranno incerti i tempi del primo avvistamento e dei soccorsi, l’esatta ubicazione del barchino, quando si è inclinato al punto da fare cadere in acqua 20 suoi occupanti, la presenza di assetti aerei o navali, in ipotesi anche dell’agenzia europea Frontex, operativa con diversi mezzi su tutto il Mediterraneo centrale.

Si potrebbe anche ipotizzare che l’improvvisa inclinazione del barchino sia stata conseguenza dell’avvicinamento di una motovedetta libica, se non tunisina, ma il comunicato ANSA sembra smentire questa ipotesi, ribadendo anzi la collaborazione tra le autorità di coordinamento libiche ed italiane. Ma non si conosce da quale momento sia partito questo coordinamento, e su questo calerà senz’altro il segreto militare imposto ormai a tutte le attività di contrasto del’immigrazione irregolare nel Mediterraneo centrale, anche quando si trasformano in eventi di ricerca e soccorso (SAR). Le vittime già inghiottite dal mare, saranno adesso rapidamente soppresse dalla disinformazione e dall’indifferenza che dominano in Italia.

L’allontanamento delle ONG dal Mediterraneo centrale, e le difficoltà frapposte all’operatività degli aerei civili che svolgevano attività di monitoraggio sulle acque internazionali ha fatto conseguire al governo italiano l’obiettivo di eliminare “pericolosi” testimoni, comunque in grado, dopo le segnalazioni trasmesse alle centrali nazionali di coordinamento, ammesso che la Libia ne abbia una, di sollecitare e rendere obbligatorio l’intervento di soccorso delle autorità marittime italiane. Interventi che tuttavia quando si continuano a verificare, sono puntualmente rimossi dai mezzi di informazione, come è successo nel caso dei cinque barconi salpati dalla Libia e dalla Tunisia tra il 28 e il 29 dicembre e soccorsi a Lampedusa nei giorni successivi, per un totale di 336 naufraghi, poi trasferiti nel centro hotspot di Porto Empedocle. Nessuno, in Italia, ha avuto informazioni su questi “eventi migratori” dai mezzi di comunicazione a diffusione nazionale. Per la politica migratoria di “successo” del governo italiano non era forse conveniente diffondere notizie su questa ripresa degli sbarchi in pieno inverno.

Di fronte a notizie tanto contraddittorie ed ancora parziali, è legittimo chiedersi, anche in vista di futuri “eventi migratori” che potrebbero aumentare ulteriormente il numero delle vittime, se le attuali prassi operative seguite dalle autorità marittime italiane, ed in particolare nella zona a sud di Lampedusa, in collaborazione con le autorità libiche, e tunisine, siano ancora quelle basate su una rigida distinzione tra “eventi migratori”, da tracciare e seguire a distanza, quantomeno fino all’ingresso nelle acque territoriali, e spesso anche oltre, in modo che le imbarcazioni provenienti dalla Libia o dalla Tunisia possano raggiungere “in autonomia” Lampedusa, ed eventi SAR (di ricerca e salvataggio) nei quali scatta immediatamente l’attività di intervento con trasbordo dei naufraghi a bordo di un mezzo militare italiano. In altri termini occorre capire se natanti che sono in evidente condizioni di distress (pericolo imminente e grave), come lo sono tutti i barchini partiti dalla Libia, o dalla Tunisia, continuino ad essere monitorati, senza interventi immediati, oppure se scattino subito interventi di soccorso, già in acque internazionali, per evitare che nella fase dell’avvicinamento alle coste italiane si possano verificare incidenti. Come purtroppo si è verificato in numerose, dramatiche occasioni in passato.

Ci sarebbe anche da capire a che livello si stabilisce oggi la collaborazione tra le autorità marittime italiane e quelle libiche, a fronte del notorio trattamento violento, e delle prassi estorsive, che attendono i naufraghi “soccorsi”, ma sarebbe meglio dire “intercettati”, in acque internazionali, e riportati in Libia. Dall’inizio del 2024 fino al 31 agosto, secondo quanto ha indicato l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), sono stati oltre 15mila i migranti intercettati in mare e riportati in Libia, con almeno 434 vittime e 611 dispersi nel Mediterraneo. Il bilancio a fine anno rischia di essere molto più grave, malgrado il calo generale degli sbarchi. Il bilancio delle vittime continua a essere alto: 674 persone hanno perso la vita e 1.015 risultano disperse lungo la pericolosa traversata verso l’Europa da Libia e Tunisia, per un totale di 1.689 vittime al 21 dicembre 2024, sempre secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. […]

La maggiore pericolosità dei mezzi impiegati per la traversata dai trafficanti, spesso con scafisti improvvisati, si aggiunge alla mancanza di canali legali di ingresso, persino per ricongiungimenti familiari, come questa ultima tragica vicenda, “sotto la costa”, di Lampedusa, o “al largo delle coste libiche”, dimostra. Perchè quel bambino che ha perduto la mamma in mare avrebbe avuto il diritto a raggiungere il papà, già legalmente residente in Germania, con un volo di linea, e un visto di ingresso, senza rischiare la vita a bordo di un barchino fatiscente. Se non si riuscirà a salvare il principio di verità, almeno sarebbe doveroso evitare un ulteriore spreco di vite umane.

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Ancora un naufragio a sud di Lampedusa: quale verità ? – ADIF