È stata da qualche giorno diffusa la dichiarazione di Alfredo Cospito al processo Sibilla, che di seguito riportiamo. Pressenza ha seguito in passato la vicenda giudiziaria e carceraria dell’anarchico condannato al regime 41 bis e oppostosi con lo sciopero della fame alle violenze subite in prigione (Alfredo Cospito). Le sue parole oggi rappresentano una convinta asserzione della libertà di pensiero e una potente invettiva contro le torture di Stato e le ipocrisie di certa giurisdizione, parole che suggeriamo di ascoltare anche a chi non ne condivide le idee

15 gennaiο 2025
Oggi voi rappresentanti del braccio giudiziario di questa repubblica ci mettete sotto processo per delle scritte sui muri, per le nostre parole, per i nostri libri e periodici, costringendo di fatto l’anarchia alla clandestinità.
Siamo in buona compagnia: con questo governo a guida postfascista, la censura e la repressione si stanno espandendo a tutto il corpo sociale, accelerando la transizione da democrazia totalitaria a un tragicomico regime da operetta.

Detto questo mi tocca ringraziarvi: dopo un anno di silenzio, grazie al vostro imbarazzante e anacronistico procedimento penale, mi è concesso esprimere il mio pensiero pubblicamente.
Anche se da remoto, anche se per il breve tempo di un battito d’ali, oggi posso strapparmi il bavaglio, la mordacchia medievale di un 41 bis che un governo di centrosinistra anni fa mi ha applicato per mettere a tacere una voce scomoda, per quanto minoritaria e ininfluente, ma certo nemica di questa vostra democrazia.

Questi due anni di regime speciale mi hanno definitivamente aperto gli occhi sul vero volto del vostro diritto, delle vostre garanzie costituzionali, rivelandomi un sistema criminogeno fatto di totalitarismo osceno, quanto crudo e assassino.

Oggi in quest’aula stiamo subendo un processo inquisitoriale basato su un’intervista rilasciata con regolare posta carceraria e non – come vuol far credere l’accusa – attraverso il colloquio con mia sorella, trascinata in aula per il solo fatto di continuare imperterrita a fare i colloqui con il fratello.
Classica strategia di tutti i regimi autoritari nel mondo, usata regolarmente al 41 bis, per far terreno bruciato di ogni legame affettivo con l’esterno.

É indicativo, ad ogni colloquio che faccio, vedere le impronte delle mani dei bambini sui vetri blindati che li separano dai loro padri o dalle loro madri.
Ma in fondo che aspettarsi da una democrazia che mette in prigione i bambini?

Naturalmente mi assumo tutta la responsabilità dell’intervista, che è il motivo per il quale oggi mi trovo al 41 bis, come d’altronde mi assumo la responsabilità di tutti i miei scritti, l’ultimo in ordine cronologico il piccolo saggio sul “Mil” nella Spagna postfranchista scritto in alta sicurezza prima di essere trasferito in questa tomba per vivi e sono certo già pubblicato o in procinto di esserlo.

Ed è qui la particolarità di questa mia storia giudiziaria: messo in questo regime per farmi tacere definitivamente con l’accusa di un ruolo apicale, come definite il mio ruolo nel vostro contorto e involuto linguaggio.
Un brutto precedente il mio, con risvolti inquietanti.

L’essere riusciti a far passare la tesi che un anarchico possa svolgere un ruolo apicale, un ruolo intrinsecamente autoritario, quindi incompatibile con quello che è il pensiero stesso dell’anarchia, spalanca i cancelli del 41 bis a chiunque disturbi il potere, rivoluzionario singolo o movimento radicale che sia, oltre a rendere più facili i procedimenti penali abnormi come quello a cui oggi mi tocca assistere da imputato.

Dico questo perché sono fermamente convinto che il mio trasferimento in 41 bis e questo stesso processo sianο fondamentalmente un attacco alla libertà di pensiero e di stampa.
É questo il fuoco della questione, il cuore di questo processo.

La pericolosità del 41 bis non si può ridurre a un gerarca da operetta che imbastisce una patetica trappola a un’opposizione altrettanto da operetta (indicativo in tal senso il mio trasferimento eterodiretto due anni fa da una sezione all’altra in vista dell’arrivo di politicanti romani per imbastire un teatrino con comparse più utili alla bisogna).
La sua reale pericolosità è qualcosa di ben più oscuro, in potenza una formidabile scorciatoia repressiva in caso di conflittualità sociale.

Quale modo migliore per silenziare i movimenti e le opposizioni radicali di un regime emergenziale già attivo e testato? Uno stato di eccezione in cui molti diritti sono sospesi, in cui regna una censura assoluta già sperimentata in decenni di pratica sul campo. Chi saranno i primi a vivere sulla propria pelle questo regime speciale? I compagni e le compagne che si battonο per la Palestina? Gli anarchici e le anarchiche che imperterriti continuano a parlare di rivoluzione? I comunisti e le comuniste mai arresi? Quattro di loro sono decenni che resistono con fierezza in questo regime nell’isolamento più assoluto, senza mai piegarsi.

Se la guerra imperialista dell’occidente tracimerà per reazione dai confini dell’Ucraina irrompendo nelle nostre case, se i conflitti sociali supereranno il limite sostenibile di un meccanismo traballante, o anche solo se la transizione morbida e graduale in regime non sarà praticabile, il 41 bis grazie proprio alla sua patina di legalità sarà lo strumento repressivo ideale per un’anestetizzazione sociale forzata, una sorta di olio di ricino per rimettere in riga i recalcitranti, un golpe graduale e a norma di legge.

E questo spiegherebbe il perché di un regime emergenziale in assenza di una vera e propria emergenza.
Per fare accettare questa forzatura, questa aberrazione del vostro stesso diritto, quale miglior cavallo di Troia se non la lotta ai cattivi per eccellenza: i mafiosi. Gente indifendibile, divenuta irrecuperabile dagli stessi politici che prima li hanno usati per il lavoro sporco e poi seppelliti qui dentro per evitare recriminazioni su favori fatti e mai restituiti.
Un segreto di pulcinella che non sorprende più nessuno.

Con la scusa di combattere le mafie avete calpestato le vostre stesse leggi, tradendo la Costituzione ne avete svelato l’inconsistenza e la sua reale essenza di foglia di fico.

Con la scusa di combattere le mafie avete messo in atto una sorta di persecuzione etnica.
Qui con me, solo calabresi, campani, siciliani, pugliesi e ovviamente anche rom, figli impresentabili di un meridione popolato da cittadini di serie b.
Gente arrestata a volte solo per il cognome che porta.

Gente a cui i diritti in teoria inviolabili vengono negati per spingerli al pentimento, che nella vostra aberrante concezione del diritto si concretizza nella denuncia del proprio padre, della propria madre, del proprio fratello o sorella.
Avvocati accusati di collusione quando non si fanno intimidire da PM Torquemada, colloqui blindati senza nessun contatto fisico o umano, colloqui nei quali i parenti vengono incerottati in caso abbiano tatuaggi e filmati e registrati alla ricerca di pretesti per arrestarli e inquisirli.

Una spada di Damocle sospesa costantemente sulle loro teste per terrorizzare chi imperterrito continua a non voler abbandonare i propri cari.
Un terrorismo di stato che ha l’obbiettivo di privare il prigioniero della solidarietà più naturale, quella dei figli, delle mogli, dei mariti, delle madri che è l’unica solidarietà che la gente qui dentro può permettersi e capire.
Una tecnica repressiva che privando della solidarietà umana e dell’empatia disumanizza.

Arrivati a quel punto al prigioniero si può fare di tutto perché non è più un essere umano, è solo un numero a cui estorcere informazioni.
Nel caso non si piegasse un soggetto da torturare con un isolamento assassino, privandolo di ogni speranza, in caso di ergastolo ostativo fino alla morte.
Una concezione del diritto degna della vostra etica. Questa è la lebbra che chiamate civiltà.

Alfredo Cospito