Un precedente che non si potrà trascurare in futuro
La Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza del 4 dicembre scorso, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, su un ricorso contro il diniego di uno status di protezione, in merito alla lista di paesi di origine sicuri, respinge le tesi del governo e riconosce il potere di disapplicazione del tribunale. Come riconosce la Corte, la questione pregiudiziale veniva sollevata ” sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contestando la natura sicura del paese di origine non su una base individuale, ma per rilievi d’ordine generale; sia per l’ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell’inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri”.
Il campo della decisione della sentenza della Cassazione dello scorso 4 ottobre, si riferisce ai casi di ricorso contro decisioni delle Commissioni territoriali che negano il riconoscimento di uno status di protezione. Ma alcuni principi generali affermati, in particolare per quanto riguarda la connessione tra le procedure di asilo e le garanzie in materia di libertà personale, possono valere anche nei diversi casi di convalida dei provvedimenti di trattenimento amministrativo nelle procedure accelerate in frontiera, nelle quali è però evidente che il giudice della convalida non potrà avere il tempo per assolvere gli stessi poteri di cooperazione istruttoria che competono al giudice del tribunale in sede di ricorso contro un diniego
Le motivazioni della Corte escludono che il legislatore nazionale, nella individuazione dei paesi di origine sicuri, possa adottare criteri che risultino in contrasto con la Direttiva procedure 2013/32 dell’Unione europea. E tantomeno una lista di paesi di origine sicuri prevista con un atto interno a carattere amministrativo, come il decreto interministeriale del 7 maggio 2024, può limitare il potere/dovere di cooperazione istruttoria del giudice ed i diriti di difesa dei richiedenti asilo denegati, che hanno comunque diritto ad un ricorso effettivo. In ogni caso si deve verificare la possibile lesione del diritto di difesa dei richiedenti asilo alla luce degli articoli 24 della Costituzione e 47 della Carta dei diritti fondamentali UE, tenendo conto delle diverse caratteristiche e tempistiche del giudizio sulla convalida del trattenimento disposto dal questore, con riferimento ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti sicuri, sui quali dovrà ancora pronunciarsi la Corte di Giustizia Ue su rinvio di diversi tribunali italiani, rispetto alla decisione sul ricorso contro il diniego pronunciato dalla Commissione territoriale di Roma, e sulla connessa richiesta di sospensiva, procedimento nel corso del quale il Tribunale di Roma aveva sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Cassazione.
Il successivo comunicato pubblicato dalla stessa Corte di Cassazione mette invece in rilievo, soprattutto, il ruolo del legislatore nazionale, rispetto al potere del giudice interno di disapplicare per contrarietà con il diritto dell’Unione europea l’atto amministrativo, in questo caso il riferimento era costituito dal Decreto interministeriale del 7 maggio 2024, ma riassume solo in parte il “Regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi designati come sicuri” individuato dai giudici della Corte di Cassazione. Nelle 40 pagine di motivazioni della sentenza della Corte di cassazione del 4-19 dicembre, sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, in ordine al decreto interministeriale che individuava una lista di paesi di origine sicuri, si mette in evdenza piuttosto il principio gerarchico delle fonti normative, secondo cui un decreto interministeriale non puo’ derogare la normativa dell’Unione europea ed internazionale, come peraltro impone l’art.117 della Costituzione, che si richiama espressamente, e sembra ammettere al riguardo il potere di disapplicazione del giudice interno.
Le motivazioni generali in punto di diritto adottate dalla Corte di cassazione rimangono dunque applicabili anche alla luce della più recente decretazione d’urgenza del legislatore interno, estremo tentativo di avviare le procedure accelerate “in frontiera” nei centri di detenzione in Albania. La questione del rispetto del sistema gerarchico delle fonti, e il riconoscimento dei poteri/doveri di cooperazione istruttoria del giudice interno, non mutano anche se la nuova legge 187/24, ha trasferito, dalle Sezioni specializzate per l’immigrazione dei Tribunali alle Corti di appello, la competenza a decidere sulle richieste di convalida del trattenimento amministrativo disposto dal questore nei confronti dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri e privi di documenti di identificazione. Semmai il controllo della giurisdizione dovrà essere tanto più rigoroso quanto emergeranno le disfunzioni che un tale trasferimento per decreto legge, da attuare nel giro di qualche settimana, potrà comportare su strutture e uffici giudiziari ancora scarsamente preparati ed in crisi di organico, con un immediato pregiudizio dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, a partire dalla effettività dei diritti di difesa, e dal diritto di accesso al territorio per la presentazione di una richiesta di asilo (art.10 Cost.). La Corte di Cassazione ribadisce tra le altre motivazioni che “Il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell’Unione europea.”
A tale riguardo, la Corte di Cassazione, con passaggi che non trovano eco nello stringato comunicato sulla decisione, osserva come: “Già nella sentenza n. 120 del 1967, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle libertà dello straniero, il parametro dell’art. 3 Cost. non va considerato isolatamente, bensì in connessione con l’art. 2 e con l’art. 10, secondo comma, Cost., il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell’uomo. Il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare quei diritti fondamentali. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (Corte cost., sentenza n. 105 del 2001).