Qualche giorno fa mi chiama Suliman con voce, mi sembra, un po’ più pimpante del solito: “Stiamo a Zaqariq” mi dice. Lui e la moglie sono andati a trovare i parenti in questa città a circa 190 Km a nord-est del Cairo. Hanno viaggiato con il pullman. Sono visite che durano 3-4 giorni: si sta insieme dal giovedì sera, poi il venerdì di festa e un paio di giorni ancora. Si va alla moschea, si mangia, si canta e si balla. Ma chi abita in quella casa normalmente, al di fuori di questi eventi collettivi? All’origine ci abitava soltanto un nipote di Suliman, il figlio di uno dei suoi fratelli, che dal Sudan si era trasferito lì per studiare medicina. Quando, nell’aprile del 2023, in Sudan è scoppiata la guerra, tutti i suoi parenti stretti (madre, fratelli, sorelle, a loro volta con famiglie) hanno chiesto e ottenuto il ricongiungimento familiare a questo ragazzo. E quella che era la casa di uno studente si è trasformata nel rifugio di una famiglia allargata. Ringrazio Suliman delle foto che mi invia e gli scrivo: “Un momento ‘quasi felice’ “. “Sì, sono molto felice. Anche i miei nipoti e le loro mogli sono contenti del nostro arrivo” risponde.
Abbiamo sempre parlato dei fratelli di Suliman e delle loro famiglie, ma dove sono ora le sue due sorelle? La triste risposta è che sono in Ciad, nei campi profughi. Con i figli? Con i mariti? Sicuramente c’è qualche uomo della famiglia con loro ma ricordo da letture passate che la sicurezza nei campi del Ciad non era migliore di quella dei campi in Etiopia e temo che la situazione non sia mutata. Chiudo un momento gli occhi e vedo un mondo popolato da gente in diaspora, famiglie che si separano, luoghi familiari che si lasciano obtorto collo.
In Sudan la guerra continua. Ricevo foto di bombardamenti: è il governo capeggiato da Abdel Fattah al-Burhan che cerca di stanare i Janjaweed colpendo pesantemente le Forze di Supporto Rapido, le quali si muovono continuamente e spesso si rifugiano in zone densamente popolate. Questo significa tante vittime civili, anche per opera delle stesse forze governative. Recentemente c’è stato un grosso bombardamento da parte dell’esercito di Burhan all’aeroporto di Nyala, dove c’erano aerei degli Emirati (ricordiamo che gli Emirati sostengono le Forze di Supporto Rapido e le riforniscono di armi ed equipaggiamenti militari): il cugino di Suliman che abita nel distretto dell’aeroporto è riuscito a rendere una potente testimonianza fotografica.
Ancor più grave il bombardamento (avvenuto, se non sbaglio, lunedì 9 dicembre) al mercato della città di Kabkabiya nel nord Darfur, che ha provocato 87 morti civili, fra cui molte donne e molti bambini, e diverse dozzine di feriti. “Sono stati presi di mira – dice un comunicato stilato dagli abitanti del posto – il mercato della telefonia, il mercato della Columbia e diversi altri luoghi al suo interno. La popolazione della città di Kabkabiya ha condannato con la massima fermezza questo crimine atroce che costituisce una flagrante violazione di tutte le norme e leggi umanitarie internazionali”. Che dire? E’ un’altra Gaza, ancor meno visibile agli occhi del mondo.
Tornando ai sudanesi della diaspora, emigrati a forza, se queste sono le notizie che ricevono dal loro Paese, come si può anche lontanamente vagheggiare il pensiero di rimpatriare un giorno? E che cosa si troverà una volta che quel giorno arrivasse?
Chiedo a Suliman se sono riusciti a fare la domanda di asilo politico e la risposta che mi dà non è delle più confortanti: ha avuto sì, finalmente, via telefono, l’appuntamento con l’ufficio Immigrazione, ma dovrà aspettare diversi mesi perché la convocazione è per il 31 agosto 2025. Soltanto a partire da quella data Suliman e Fatima per lo Stato egiziano ‘esisteranno’ e riceveranno qualche forma di aiuto; fino a quel momento dovranno cavarsela con donazioni di amici. L’asilo politico vero e proprio arriverà dopo altri otto mesi circa. Questi sono i tempi e Suliman stesso giustifica tale lungaggine: “Ci sono 12 milioni di persone davanti a me” dice.
E’ così che i sudanesi vanno per il mondo, stazionano nelle città e nei villaggi, spesso dove non sono graditi, con il cuore là dove vorrebbero tornare – la loro terra che si sta autodistruggendo.
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https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-e-fatima-di-nuovo-in-sudan-ma-solo-di-passaggio/
https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-fatima-e-la-guerra-infinita-in-sudan/
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