Il vento gelido che spira da Palazzo Chigi e dal Viminale sui palazzi di giustizia dopo il fallimento epocale del Protocollo Italia-Albania, e la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” ottenuta da Salvini nel processo di Palermo, è sempre più evidente e si avverte anche, dopo la più recente decisione di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella “ordinanza interlocutoria” che la Corte di Cassazione ha adottato sul ricorso del governo contro una delle decisioni del Tribunale di Roma che non aveva convalidato il decreto di trattenimento di un richiedente asilo proveniente da un paese di origine ritenuto sicuro, come l’Egitto, trasferito nel centro di Gjader lo scorso ottobre, dopo essere stato soccorso e “selezionato” in acque internazionali in successivi screening a bodo di navi militari italiane.
Il Tribunale di Roma aveva ritenuto il provvedimento del Questore illegittimo in quanto adottato nell’ambito di una procedura accelerata alla frontiera disposta in assenza del requisito della provenienza del richiedente asilo da un paese di origine sicuro, secondo quanto richiesto dall’art. 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del d. lgs. n. 25 del 2008 e dall’art. 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32/UE. Secondo il governo, rappresentato in sede di ricorso dall’avvocatura dello Stato, “l’ordinanza di non-convalida sarebbe viziata per aver disapplicato il decreto ministeriale del 7 maggio 2024, adottato ai sensi dell’art. 2-bis del d. lgs. n. 25 del 2008, con riferimento al paese di provenienza dell’intimato, sulla base di una valutazione delle norme eurounitarie che, in realtà, altererebbe il significato della sentenza della Corte di giustizia”. Altri provvedimenti del Tribunale di Roma hanno rigettato le richieste di convalida di misure di trattenimento addottate nei confronti di richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri, trasferiti nei mesi scorsi in Albania.
La Corte di Cassazione con questa ultima “ordinanza interlocutoria” sospende il procedimento in attesa della decisione della Corte di Giustizia che già era stata chiamata a risolvere questioni pregiudiziali sullo stesso tema sollevate da diversi Tribunali, ma recepisce l’impostazione generale “riduttiva” rispetto alla sentenza della CGUE del 4 ottobre, prospettata dalla Procura generale presso la Cassazione, con una memoria a firma dei sostituti procuratori generali Luisa De Renzis e Anna Maria Soldi.
Il Collegio della Corte di cassazione esprime l’avviso che la sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 si riferisca esclusivamente all’incompatibilità della previsione di paesi sicuri con eccezioni di parti del territorio. Per la Cassazione, in questa ordinanza interlocutoria, “le eccezioni per categorie di persone non hanno formato specifico oggetto della decisione della Corte di giustizia europea e non sono state esaminate dalla Corte quanto alla loro incidenza”.
Tuttavia più avanti la stessa Cassazione riconosce che “sul rispetto della dignità umana è fondata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla quale, nel definire la nozione di paese di origine sicuro, si richiama più volte la direttiva 2013/32.- Per la Corte, “In questo contesto valoriale, le eccezioni personali, pur potendo ritenersi di per sé compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non sono ammesse a fronte di persecuzioni costanti, endemiche o generalizzate, perché altrimenti sarebbe messo in crisi il requisito del generalmente, richiesto nell’allegato I della direttiva, e sarebbe pregiudicato il valore fondamentale della dignità”.
Sulla base del principio gerarchico delle norme (art.117 Cost.) la Cassazione osserva che “L’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dalla direttiva europea 32/2013 e dalla normativa italiana che la recepisce”. Dunque “la nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico” e “la presenza di un aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale”. Si aggiunge poi che ““la necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l’utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri. Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell’effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale” Con la conseguenza che ““il giudice può valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale il decreto ministeriale recante la lista dei Paesi di origine sicuri allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale”.
Malgrado questi innegabili riconoscimenti, che i commentatori favorevoli alle tesi del governo trascurano del tutto, ma sui quali la Corte di Giustizia dovrà comunque pronunciarsi, altri passaggi dell’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione appaiono contraddittori e possono dare adito a veri e propri equivoci. La Cassazione sembrerebbe affermare che le cd. eccezioni personali relative a categorie di persone non sarebbero valutabili dal giudice alla stessa stregua delle cd. eccezioni territoriali, sulle quali si è pronunciata la Corte di Giustizia con la sentenza del 4 ottobre scorso, che avrebbe omesso di affrontare le prime nella valutazione dei criteri adottati dagli Stati per designare i paesi di origine sicuri. Come se in altri termini il controllo giurisdizionale fosse ammesso sulle condizioni di sicurezza della singola persona, ma non sulle generali condizioni di sicurezza, sotto il profilo delle garanzie di tutela dei diritti umani, nell’intero paese di origine.
In estrema sintesi il giudice della convalida del trattenimento amministrativo dovrebbe limitarsi a rilevare eventualmente soltanto i “gravi motivi” dedotti dal ricorrente per fare valere eccezioni personali, con riferimento a rischi nel paese di origine, mentre può procedere d’ufficio se si tratta di eccezioni territoriali, se intere parti del paese sono interessate da conflitti armati. Quindi, esorbitando quello che si definisce tradizionalmente come “dialogo tra le corti” la Cassazione fornisce tra le righe alla Corte di Lussemburgo una interpretazione del diritto dell’Unione europea che, sulla analoga linea proposta dalla Procura generale, e recependo alcune eccezioni sollevate dall’Avvocatura dello Stato per conto del Governo, mira a restringere, senza però escluderli del tutto, i poteri di accertamento d’ufficio, la cd. “cooperazione istruttoria”, del giudice della convalida, in sede di accertamento dei presupposti delle procedure accelerate in frontiera, che si basano appunto sulla designazione del paese di origine del richiedente asilo come sicuro.
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