Il caso di Marta Garaffoni, portata in ospedale in seguito ad una protesta e sottoposta a visita psichiatrica, ma riconosciuta perfettamente in grado di intendere e di volere.

Il governo Meloni si appresta a varare un pacchetto di nuove norme che andranno a peggiorare le leggi di Polizia del regime fascista ereditate dalla Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Norme che inaspriscono le pene con anni di carcere per reati già previsti o che introducono nuovi reati per reprimere chi dissente, anche se attraverso forme di resistenza passiva e metodi nonviolenti. Nel mirino ci sono i reclusi nelle carceri, gli immigrati destinati ai “centri di accoglienza”, i lavoratori in sciopero, i senza tetto che occupano case, i pacifisti, le donne e gli ecologisti che si oppongono alle guerre, al patriarcato e al cambiamento climatico. 

E se tutto questo armamentario non dovesse bastare? Allora si può sempre ricorrere a sistemi già collaudati, come quello di far passare per matto chi protesta. E’ quanto accaduto a Marta Garaffoni, 33 anni, istruttrice di danza che da tempo sta lottando, insieme al marito Federico Raspadori, contro il progetto Linea Adriatica della Snam che prevede una condotta del gas di 430 chilometri da Sulmona in Abruzzo, dove è prevista anche una centrale di compressione, fino a Minerbio in provincia di Bologna. Il tubo, del diametro di un metro e 20 cm (con un’area di cantiere di 28 metri e 40 metri di servitù), passa proprio sul terreno dei due coniugi mandando in fumo il sogno della loro vita. 

Marta e Federico avevano acquistato un podere nelle campagne tra Forlì e Cesena, in località Provezza, dove avevano piantumato un boschetto e realizzato un rifugio per 90 animali; inoltre avevano in progetto di istituire un doposcuola per bambini. Per tutto questo avevano fatto molti sacrifici. Nessuno però li aveva avvertiti che proprio lì sarebbe passato il metanodotto destinato a sconvolgere i loro piani. Eppure il Comune di Cesena doveva sicuramente esserne a conoscenza perché uno dei primi atti della Snam è stato quello di chiedere a tutti i Comuni coinvolti di attestare la compatibilità o meno del gasdotto con il proprio piano regolatore.

Pochi giorni dopo l’alluvione che nel maggio 2023 ha colpito pesantemente la Romagna e con le campagne ancora sott’acqua, compreso il loro podere, sono arrivati a casa di Marta e Federico i tecnici della Snam con l’inattesa notizia. Tutti gli alberi del boschetto sarebbero spariti, del rifugio per animali non sarebbe rimasto traccia, l’intera fattoria sarebbe stata stravolta. A nulla sono valsi gli appelli, gli incontri e una petizione on line con 65 mila firme per uno spostamento del tracciato. Visto anche il disimpegno del Comune, Marta Garaffoni ha allora intrapreso un digiuno durato 30 giorni che l’ha debilitata fortemente ma non ha fatto cambiare idea alla Snam. 

Quando, il 4 dicembre scorso, insieme alle forze dell’ordine sono arrivati gli operai della Snam con una gigantesca ruspa e hanno cominciato ad abbattere i recinti e le stalle degli animali (capre, pecore, oche, anatre, tartarughe, un cavallo e un asino) Marta è salita sulla benna e ha cominciato a protestare per poi, presa da una forte emozione, allontanarsi nei campi. A questo punto è stato chiamato il 118 e poco dopo è arrivata un’ambulanza che l’ha rintracciata. Come riferisce il Corriere Romagna, il medico e i poliziotti hanno messo Marta di fronte all’alternativa di essere sottoposta ad un accertamento sanitario obbligatorio o di essere portata in Commissariato e denunciata. Controvoglia Marta ha acconsentito di salire sull’ambulanza che l’ha portata all’ospedale Pierantoni di Forlì. Qui è stata visitata da uno psichiatra che però l’ha subito dimessa, ritenendo che quella di Marta era stata solo una reazione, sia pure fortemente emotiva, nell’ambito di una protesta nei confronti di una decisione imposta con prepotenza. Insomma, Marta non è pazza ma perfettamente in grado di intendere e di volere.

Chi, invece, non vuole né intendere né volere è la Snam che insiste nel portare avanti la realizzazione del mega gasdotto e della centrale di compressione nonostante che esse siano due infrastrutture che non servono né all’Italia né all’Europa. Il progetto Linea Adriatica è stato presentato esattamente 20 anni fa, nel gennaio 2005, quando la Snam riteneva che i consumi di gas nel nostro Paese fossero destinati ad aumentare. Invece è accaduto esattamente il contrario. Infatti, dopo aver raggiunto il picco massimo proprio nel 2005 con 86,2 miliardi di metri cubi, il consumo di metano ha cominciato a scendere e arriverà alla fine di quest’anno intorno ai 60 miliardi di mc. Nonostante la forte diminuzione delle importazioni dalla Russia, l’Italia può comunque disporre di una capacità potenziale di oltre 100 miliardi di mc, il che rende inutile la realizzazione di altri impianti metaniferi.

Ciò che soprattutto interessa alla Snam è l’appalto di 2 miliardi e 500 milioni di euro dell’opera, dei quali 375 milioni dovrebbero arrivare dall’Europa tramite il Pnrr. Il resto verrà messo a carico dei cittadini italiani attraverso un immotivato aumento della bolletta energetica. Anche se nel tubo non dovesse passare neanche un metro cubo di gas la Snam riceverà in ogni caso delle entrate fisse da parte di Arera, l’autorità italiana per l’energia, in quanto l’opera è considerata di “interesse pubblico”. 

Il metanodotto coinvolge 6 Regioni e, ignorando il principio di precauzione, attraversa i territori più altamente sismici dell’Appennino, già colpiti dai terremoti dell’Aquila, di Umbria e Marche, nonché territori a rischio idrogeologico come quelli colpiti dall’alluvione in Romagna. Notevole sarà l’impatto sull’ambiente naturale. Si calcola che per l’interramento del metanodotto sarà necessario abbattere due milioni di alberi. Il metanodotto e la centrale interferiscono pesantemente anche con Parchi nazionali e diverse aree protette dove sono presenti specie a rischio di estinzione come l’Orso bruno marsicano. Edifici e terreni subiranno una svalutazione che può arrivare anche all’80 per cento in base alla distanza dal tubo. Le attuali norme sulle distanze di sicurezza non garantiscono l’incolumità dei cittadini perché un metanodotto può essere collocato a soli 20 metri dalle abitazioni, mentre in caso di esplosioni – e ce ne sono state diverse negli anni – gli effetti distruttivi arrivano a distanze molto superiori.