«Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò grandemente e mandò a far uccidere tutti i bambini che erano in Betlemme e in tutti i suoi dintorni, dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era diligentemente informato dai magi. Allora si adempì quello che fu detto dal profeta Geremia che dice: “Un grido è stato udito in Rama, un lamento, un pianto e un grande cordoglio; Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più“» (Matteo, 2, 16-18). La prima conseguenza “politica” della nascita del Dio bambino è un eccidio di bambini. I poveri (i pastori) e coloro che coltivano la conoscenza (i magi) non temono per il loro potere: perché non ne hanno. Ma il re, il potere politico, si sente – a torto nella realtà contingente, a ragione a un livello più profondo – minacciato, e reagisce con violenza inaudita.
Nella Maestà dipinta per il Duomo di Siena, dipinta negli anni in cui Dante scriveva la Commedia, Duccio veste Erode come un imperatore dei suoi tempi: la corona, le scarpe, il trono non lo confinano in un passato fiabesco in cui ogni orrore è possibile, ma lo proiettano nel presente, così svelando il volto mostruoso e inumano di ogni potere. Terribili sono i due consiglieri, che seggono accanto al re infanticida tenendo in mano i libri dei codici: trasparente allusione al fatto che le leggi e chi le interpreta si riducono sovente a docili strumenti del potere. Atroci i volti dei soldati: vi si legge un’angoscia che non riesce a trasformarsi in insubordinazione e diserzione. Padri essi stessi: ma alla fine disposti ad uccidere i figli degli altri. Come troppo spesso nella storia, le uniche figure umane sono quelle femminili: queste madri scarmigliate e disperate, che provano inutilmente a difendere i loro bambini, o li piangono quando ormai sono stati trucidati.
Uno dei messaggi del Natale è che «non ci sono poteri buoni», come cantava Fabrizio De André: non nella Chiesa, non nella società. L’Onnipotente entra nella storia come colui che è privo di ogni potere: un bambino inerme, senza casa in cui nascere, profugo in fuga da un re omicida. Divenuto adulto, quel bambino pronuncerà una dura condanna, dando per scontato che i governanti, i capi, siano per natura gli oppressori delle loro nazioni: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Marco 10, 42-45).
È un ribaltamento inaudito: allora, e anche oggi. Nel mondo del successo, della competitività, del potere assoluto del denaro, il Natale va in direzione ostinata e contraria. Sappiamo come è andata: il primo tra i cristiani, il papa, ha rappresentato per millenni l’apice di un potere assoluto e arbitrario, e il titolo di «servo dei servi» (ispirato proprio a questa pagina del Vangelo) è stato quasi sempre vuota ipocrisia. Nonostante questo tradimento, nonostante una infinita serie di tradimenti (anche in ognuno di noi), il Natale continua a proclamare che no, non esistono poteri buoni. E lo fa con forza dirompente perché non rappresenta la nascita di una idea, ma di una persona: un bambino, un piccolo corpo caldo in comunione con altri corpi: quelli dei suoi genitori, degli animali della stalla, dei pastori.
Non esistono poteri buoni, ma esistono persone che – cercando di restare ‘buone’ – possono contestare, spezzare, suddividere, controllare quei poteri, di cui non riusciamo a fare a meno. In tempi in cui la politica come impresa collettiva cede all’idea del potere di uomini così ricchi da poter comprare interi Stati; in cui la riforma che si vorrebbe è quella che attribuisce a un singolo capo ‘i pieni poteri’; in tempi in cui chi dissente e si oppone al potere viene colpito, sorvegliato, punito; in tempi in cui ‘buonismo’ è un’offesa; in cui le persone e i loro corpi sono carne da cannone sui campi di battaglia, nelle mani di un potere omicida come quello di Erode, ecco che il Natale torna a dirci: non esistono poteri buoni, esistono (sì, possono ancora esistere) persone buone. Persone che cercano – tra mille errori, incoerenze e sconfitte – non di opprimere altre persone, ma di comprendere, accoglierle, servirle. Persone che cercano di ricordarsi che hanno un cuore di carne, e un corpo come quello di tutti gli altri. Persone che si prendono cura del loro prossimo, cioè «dell’altro uomo, che ti è estraneo culturalmente, che ti è straniero linguisticamente e che – per volontà della provvidenza, o per puro caso – giace da qualche parte nell’erba sulla tua strada: e con esso creano la suprema forma di vicinanza, non già data dalla creazione, ma creata da te» (Ivan Illich).
Al potere il Natale oppone la comprensione e la cura. Al governo, il servizio. Alle nazioni, le persone. La via stretta per avere un futuro collettivo passa da qui: da questa ‘incarnazione’
Tomaso Montanari
Volere la luna