Ho partecipato a un bellissimo concerto ieri, 30 novembre, a Biella. In realtà non un concerto ma una suite, ovvero

“un unico lungo brano che porta l’ascoltatore a vivere la profonda esperienza di un percorso emozionale attraverso brani del suo repertorio ma anche di autori da lui profondamente amati, riletti come meditazioni sull’umana condizione.”

Così come la definisce lo stesso Eugenio Finardi, uno dei protagonisti dell’evento di ieri, sul suo sito. Con lui, sulla pedana dell’Auditorium di Città Studi, c’erano i bravissimi Giuvazza Maggiore alla chitarra e Raffaele Casarano al sax. E, aggiungerei, tra i protagonisti, anche le 400 persone sedute in sala.

Devo ammetterlo, prima di sentire la suite, avevo dei pregiudizi. Ho ascoltato moltissimo Finardi in adolescenza e, come tante cose di quella fase della vita, le rivivo con un misto di tenerezza e di imbarazzo; come se fossero la testimonianza di un pezzo di me che ho lasciato indietro, che ho superato.

E invece no, il cantautore di “La Radio” e “Musica Ribelle”, proprio quelle canzoni per cui consumavo le testine del mangianastri, mi ha favorevolmente stupito. E non solo me! Direi tutte i 400 coprotagonisti presenti in sala a Città Studi, a Biella.

Scrivo “ho partecipato” e “coprotagonisti” perché le emozioni provate sono state profonde, per tutti, e hanno coinvolto lo stesso Eugenio Finardi che, mentre eseguiva il brano dedicato alla figlia “Amore diverso”, si è commosso fino alle lacrime. Quando succede questa magia, quando ci si sente “tutti uno”, la performance diventa di tutti i presenti, non solo degli esecutori.

Ritengo che questo stato di grazia sia anche dovuto alla causa per cui è stato organizzato il concerto, fino a smuovere l’emotività degli “orsi” biellesi.

I proventi della serata, infatti, sono andati all’APB, Amici Parkinsoniani Biellesi.

In quanto parkinsoniano – e, ormai, pure biellese – faccio parte anche io di questo sodalizio. E mi sono associato in quanto colpito proprio da questa malattia.

La malattia di Parkinson, o Mr. PK come la chiama il mio amico e “compagno di patologia” Simone Masotti, ieri sera è stata ben introdotta con la lettura del testo poetico di Bruno LauziLa mia mano a farfalla”. Lauzi, in questa sentita composizione, raccontò il suo Mr PK che, come il mio, è visibile, specie i primi tempi, dal tremore all’estremità di un arto. E’, appunto, lo sfarfallio della mano.

E allora provi a nasconderla la mano tremolante

di rifugio in rifugio

di taschino in taschino

provi a camuffare, a non far vedere.

E, invece no, cari compagni di patologia e, per estensione, cari tuttə: non c’è proprio niente da nascondere perché

faccia quel che si sente,
io la continuo ad amare,
pur se perdutamente…

E aggiungo di mio pugno – quello ancora fermo- che

continuo ad amare la mia mano sfarfallante, così come la vita con Mr PK.