Quattro chilometri dalla Madonnina, andando verso sud, seguendo il Naviglio Pavese, a Milano si arriva già in campagna. Bellissimo.

Nel parco agricolo del Ticinello (difeso con le unghie e coi denti dagli abitanti del quartiere) la famiglia Falappi, di quelle che sanno di antico, con due fratelli che passano la vita sui trattori, coltiva la terra e ha un centinaio di mucche da latte.

Lì, dove l’odore del letame ancora arriva, sorge una scuola superiore, una di quelle che negli anni ’70 probabilmente aveva l’ambizione di essere un campus: varie palazzine, diversi indirizzi di studio, un migliaio o più di studenti e studentesse che entrano ogni mattina e che all’uscita trovano il solito furgone che non si muove mai, Yankee, dove un uomo cucina salamelle che superano abbondantemente l’odore del letame.

Beh, proprio lì, dentro questo enorme complesso scolastico che da anni perde i pezzi (il liceo è intitolato a Salvador Allende, che campeggia all’interno con un grande murales) e ricorda a tratti la vecchia Germania Est, incuneandosi tra muri pieni di scritte, vi è un piccolo gioiello: il teatro Pacta.

Teatri di periferia (a dir poco) anche perché all’altro capo del parco, proprio circondato dalla campagna, si trova un teatro ancor più coraggioso, il Pim Off.

Ieri sera, meno male senza nebbia, ci immergiamo al Pacta: danno Pirandello. La sala è riscaldata. Gli spettatori superano poco le dita di due mani. Eppure, assistiamo ad uno spettacolo alla fine del quale ci spelliamo le mani, per far si che si sembri di più.

“Il gioco delle parti”, Pirandello, è geniale. Il testo esce nel 1918. Pirandello non sfiora il tema della guerra esteriore, ma si immerge in quella interiore, dove il singolo individuo si difende attraverso l’indifferenza nei confronti degli altri. Due bravi attori, una brava attrice: il trio ricorda Simone De Beauvoir, “L’inferno sono gli altri”.

Una spremuta intensa di sguardi e di osservazioni che rimbalzano in un gioco di specchi. Lui, lei e l’altro, ma la situazione esce assai dagli schemi, ribalta tutto, come se il pubblico temesse che da un momento all’altro quell’enorme tavolone in mezzo alla scena possa essere ribaltato davvero. Musica francese di amanti in sottofondo, mentre qui, “sulla terra”, si gioca di fioretto e spada.

Un ring a tre, uno esce, poi rientra ed esce un altro, ma a tratti sono tutti e tre sulla scena. Vi immaginate un vero incontro di box in tre? Potrebbero farlo davvero.

Tre attori, quasi in trance, per un’ora e venti senza pause, tagliano il capello in otto, addentrandosi nelle relazioni umane, difendendosi, chi con uno scialle, chi con un grembiule, chi con una panciotto da schermidore.

Non vi dico altro. Ma se siete nel milanese (anche se arrivate prima da Pavia che da Niguarda) andateci, ma, soprattutto, ovunque voi siate sostenete i teatri di periferia, quelli che resistono. Perle in mezzo ai porci, anzi in mezzo alle mucche. Ma si sa, “dal letame nascono i fior”.

Link: https://www.pacta.org/

https://www.pimoff.it/