L’esercito israeliano sta avanzando nell’attuazione del “Piano dei generali” nel nord della Striscia di Gaza, con l’obiettivo dichiarato di mantenere quest’area scarsamente popolata e sotto stretto controllo.

Mentre le truppe israeliane avanzano nella parte settentrionale della Striscia, migliaia di palestinesi vivono con il terrore di non poter tornare alle loro case distrutte. Famiglie intere, strappate dalle proprie radici, sono costrette a vivere in condizioni precarie, senza sapere quale sarà il loro futuro. Bambini che hanno perso tutto, donne che cercano di proteggere i propri cari in un contesto di incertezza totale: queste sono le facce della crisi umanitaria che si sta consumando nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riportato da fonti locali il 17 dicembre, l’intenzione delle autorità militari israeliane è di impedire il ritorno dei palestinesi sfollati in città come Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahia, duramente colpite dai bombardamenti delle ultime settimane. Queste località, strategicamente posizionate vicino al confine israeliano e adiacenti agli insediamenti di Netiv Ha’esra, Sderot ed Erez, sono al centro di un progetto che mira a trasformare il territorio in una zona spopolata e smembrata.

Il piano, che trova giustificazione nella presunta necessità di prevenire il rafforzamento di Hamas, prevede la sistematica eliminazione di qualsiasi forma di resistenza nel nord della Striscia. L’elemento chiave del progetto consiste nella “non restituzione” del territorio ai civili sfollati, che sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni a causa delle operazioni militari. L’esercito israeliano ritiene che la presenza della popolazione civile sia un elemento che potrebbe facilitare la riorganizzazione di Hamas, considerata una minaccia costante per la sicurezza del Paese.

Nonostante ciò, il governo israeliano non ha messo in atto piani per creare un’amministrazione alternativa che possa sostituire Hamas, lasciando Gaza in una situazione di forte instabilità, con poche prospettive di miglioramento nel breve termine.

Nelle ultime 48 ore, oltre 250 palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti, portando a più di 100.000 il numero degli sfollati solo nel nord della Striscia. Le operazioni militari e le bombe hanno ridotto le case in macerie, trasformando le vite di migliaia di persone in un incubo. Donne, uomini e bambini sono stati strappati dalle loro case, lasciati senza un tetto e la leadership politica e militare israeliana è divisa sulla gestione futura della Striscia. Mentre alcune fazioni sostengono la necessità di stabilire un governo militare permanente, altre si oppongono a una presenza israeliana a lungo termine, ritenendola insostenibile sul piano internazionale.

La situazione è ulteriormente complicata dalle trattative in corso per una tregua in tre fasi, che includerebbero uno scambio di ostaggi e un cessate il fuoco temporaneo. Secondo fonti citate dal Times of Israel, il primo ministro Benjamin Netanyahu starebbe valutando l’idea di riprendere le operazioni militari una volta conclusa la prima fase dell’accordo, sfruttando un momento geopolitico che potrebbe risultare più favorevole. La strategia sembra essere legata anche all’imminente ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il che offrirà un maggiore supporto alle politiche israeliane nella regione. La situazione attuale acuisce i dubbi sul futuro di Gaza, lasciando la popolazione civile nell’incertezza, costretta a vivere sotto la minaccia di un conflitto senza tregua.

Il ‘Piano dei generali’ è una fredda equazione militare, dove vite umane vengono trattate come pedine su una scacchiera. La Striscia di Gaza, già martoriata, rischia di trasformarsi in un macello a cielo aperto, dove la speranza si spegne sotto il peso di bombe che diventano la firma indelebile di una leadership israeliana cieca e disumana.