La Corea del Sud è spesso elogiata dal mainstream e dalla narrazione dominante come una delle democrazie liberali più avanzate dell’Asia. Chi si è sempre occupato approfonditamente delle sovraimplicazioni della globalizzazione neoliberista sa benissimo che la Corea del Sud – da sempre contrapposta mediaticamente e geopoliticamente alla Corea del Nord – è tutt’altro che un paradiso. Una “democrazia” che da decenni ormai, oltre ad essere espressione dell’americanismo nell’Estremo Oriente, ha abbracciato l’anticultura del mercato, dello sviluppo indefinito, del “mito del progresso”, dell’omologazione di massa e dell’atomizzazione individualista. Parallelamente a questa apertura si è sviluppata una cultura sempre più settaria, che sfocia proprio nel culto della personalità di qualunque leader – religioso o politico che sia – portando al consolidamento di integralismi religiosi e di sette estremiste spesso volte al degradamento dell’essere umano.

Dall’altra parte, dopo molti anni, nel 2024 la Corea del Sud ha vissuto anche uno dei più grandi scioperi sindacalizzati della sua storia ad opera dei dipendenti Samsung: un colpo di reni contro le ingerenti politiche neoliberiste e l’assurda condizioni che vivono certe categorie di lavoratori.

Una realtà, qualla sudcoreana, che va ben oltre al ruolo mediatico di “vittima del regime comunista della Corea del Nord” che l’Occidente ha contribuito a dipingere, anche con le recenti notizie sui palloni aerostatici pieni di escrementi che il regime di Kim Jong Un avrebbe scaraventato addosso al confine con il Sud.

La Corea del Sud sta vivendo uno dei momenti più bui della sua storia recente. Quello che fino a poco tempo fa era considerato un modello di governo democratico si è trasformato in un incubo autoritario, con il presidente Yoon Suk Yeol che sembra aver abbracciato metodi tipici dei regimi dittatoriali. Il pretesto? Presunte minacce alla stabilità nazionale e accuse di collusione con la Corea del Nord. La realtà? Un disperato tentativo di mantenere il potere di fronte a scandali di corruzione e a un parlamento pronto a rimuoverlo.

La scorsa notte, il presidente Yoon ha scioccato il mondo dichiarando la legge marziale (che non si proclamava dal 1987), giustificandola come l’unico modo per “proteggere la democrazia” contro un’opposizione che ha accusato di essere infiltrata da forze pro-Nord Corea. Tuttavia, la tempistica e le modalità di questa decisione lasciano pochi dubbi sulle vere intenzioni del presidente. L’opposizione, il Partito Democratico, che detiene la maggioranza in parlamento, aveva recentemente annunciato l’intenzione di indagare su scandali di corruzione che coinvolgono sia il presidente che sua moglie. La risposta di Yoon è stata rapida e brutale: paralizzare ogni forma di dissenso attraverso l’imposizione di uno stato di emergenza.

Le misure che ha indetto, e che fortunatamente ha adottato per poco, sono il contrario di qualunque democrazia:

  • Divieto di attività politiche e manifestazioni.
  • Censura totale dei media e delle pubblicazioni.
  • Arresti senza mandato per chiunque violi il decreto sulla legge marziale.
  • Militarizzazione delle strade, con veicoli blindati e truppe che pattugliano la capitale, Seoul.

Come ha scritto giustamente Giuseppe Salamone, l’impatto della legge marziale è stato immediato e devastante:

  • Il won sudcoreano è crollato, scatenando il panico dei mercati internazionali.
  • Proteste di massa hanno preso il via a Seoul, con migliaia di cittadini che chiedono le dimissioni e l’arresto del presidente.
  • I membri del parlamento hanno tentato di scavalcare le barriere erette dai militari per fermare l’approvazione della legge marziale, ma molti sono stati arrestati sul posto.
  • Si è prodotto l’azzeramento della fiducia istituzionale, mentre il capo della polizia e alcuni alti ufficiali militari hanno rifiutato di eseguire gli ordini, creando spaccature nelle forze di sicurezza.

Con il suo tentato autogolpe, Yoon Suk Yeol ha fatto cadere la maschera della democrazia e ha giustificato la repressione come mezzo per “ricostruire una società libera e democratica”, ma le sue azioni parlano chiaro. Con la censura dei media, il divieto di attività politiche e l’arresto degli oppositori, Yoon ha dimostrato che le sue priorità non riguardano la democrazia, ma il consolidamento del suo potere personalistico. Yoon non ha alibi. Il vero motivo sembra essere la paura di affrontare le indagini su presunti miliardi sottratti al Paese: un timore così grande da spingerlo a minare la democrazia stessa per salvarsi.

Nonostante il clima di repressione, la Corea del Sud non si è piegata. Il parlamento, sfidando i militari, ha votato per l’abolizione della legge marziale e ha presentato proposte di impeachment contro Yoon. I cittadini coreani con grande coraggio continuano a scendere in piazza, dimostrando che lo spirito democratico è ancora vivo, ed è stato inoltre indetto uno sciopero generale a oltranza. La decisione di revocare la legge marziale non ha tuttavia ristabilito l’ordine nel Paese e i sei partiti di opposizione hanno avviato la procedura di impeachment contro il presidente.

Questi sono quelli che si possono chiamare “presidenti democratici”, solo perché servono gli Usa. Come ha scritto Salamone: “Se fosse stato ostile all’impero del male a quest’ora avremmo sentito tutt’altra narrazione”.

Nelle società capitaliste il fatto che una tanto acclamata “democrazia” si trasformi in regime autoritario non è un fenomeno che crea scandalo, ma la naturale degenerazione di una sistema politico che è nato senza voler essere tale.