Ieri paladino della lotta contro gli attacchi all’integrità, il nuovo Primo Ministro ha recentemente moltiplicato le dichiarazioni polemiche in difesa di coloro che sono implicati in affari politico-finanziari. Personalmente è ancora sotto minaccia di processo d’appello nel caso MoDem. E’ un terreno politico sul quale il nuovo primo ministro nominato da Macron ha dimostrato che essere al centro significa saper incarnare tutto e il suo contrario è quello della moralizzazione della vita pubblica. Già paladino delle battaglie contro gli abusi di potere e per l’inasprimento della lotta contro gli attacchi all’integrità, Bayrou ha infatti recentemente moltiplicato le dichiarazioni polemiche in difesa degli accusati di questioni politico-finanziarie. Va detto che prima di diventare capo del governo, Bayrou è stato nel 2017 il primo ministro della Giustizia di Macron, incarico dal quale ha dovuto dimettersi dopo un mese a causa di sospetti giudiziari che lo riguardavano nella vicenda di appropriazione indebita di fondi pubblici dal suo partito, il MoDem.
L’effimero ministro della Giustizia si è distinto, tra l’altro, esercitando pressioni su Radio France affinché rinunciasse a un’inchiesta dei giornalisti interni sulle finanze del MoDem, che non era ancora stata messa in onda. Incriminato e poi rinviato al tribunale penale, è stato assolto a febbraio, a differenza del suo partito e di diversi ex leader, che sono stati condannati. Ma, poiché la procura di Parigi si è appellata contro la sentenza, il nuovo primo ministro accede ora a Matignon mentre è ancora sotto la minaccia di un nuovo processo, di cui non si conosce ancora la data dell’udienza. Rompendo con la sua immagine di “signore della moralità pubblica”, Bayrou, dopo i suoi problemi con la giustizia, ha preso posizioni che potrebbero aver offeso una parte dell’opinione pubblica e molti dei suoi ex sostenitori. Così, l’anno scorso, all’indomani della condanna del sindaco di Tolone, Hubert Falco, per un caso di appropriazione indebita di fondi pubblici, il nuovo primo ministro difese l’eletto sanzionato, che dovette dimettersi dal suo mandato a causa dell’esecuzione provvisoria della sua sentenza di ineleggibilità inflitta dai giudici. “Questo non è un crimine contro l’umanità!», ha esclamato Bayrou, si noterà la scelta delle parole. Invocando un “grande principio del diritto”, ha ritenuto che “ci deve essere proporzionalità tra la pena e la colpa” e che la sentenza che ha condannato Hubert Falco equivale a “morte civile”, cosa che è “terribile”.
Bayrou aveva preso una posizione simile un mese fa dopo le requisizioni della procura di Parigi contro Marine Le Pen nel caso dell’appropriazione indebita della RN al Parlamento europeo. Ancora una volta, ha ritenuto che un’esecuzione provvisoria della sentenza di ineleggibilità richiesta dai PM – misura prevista dalla legge e votata dal Parlamento – “sarebbe un problema”. “In una democrazia, dobbiamo poter ricorrere in appello contro tutte le decisioni”, ha precisato, mentre tale sentenza (che sarà resa nota il 31 marzo) non impedirebbe in alcun modo a Marine Le Pen di ricorrere in appello. Ma il sindaco di Pau ha stimato che impedire a Marine Le Pen da qui alle elezioni presidenziali porterebbe alcuni cittadini a “ritenere che ci sia qualcosa che pregiudica la vita democratica”, mentre il divieto di esercizio fisico è una misura penale che si applica ogni anno per tutti i tipi di persone e delle professioni. Un simile atteggiamento sembra rimandare all’infinito le battaglie di Bayrou contro gli eccessi del sistema Sarkozy, al quale aveva dedicato un libro-accusa, Abuso di potere (Plon), e le sue promesse di trasparenza nel 2017 dopo il caso Fillon.
Un processo nel 2025?
Un primo ministro in servizio, costretto a trascorrere diversi giorni in tribunale per essere giudicato: questo è il destino senza precedenti che teoricamente è riservato a François Bayrou. Il nuovo inquilino dell’hotel Matignon (il palazzo Chigi francese) va infatti processato nuovamente nella vicenda degli assistenti MoDem al Parlamento Europeo. Un caso abbastanza vicino a quello del RN e di Marine Le Pen, anche se minore è l’entità della malversazione di fondi pubblici di cui è accusato MoDem e il suo vecchio leader. Al termine dei dibattiti che a volte lo hanno messo in difficoltà, nell’ottobre e nel novembre del 2023, Bayrou è stato finalmente assolto dal Tribunale penale di Parigi il 5 febbraio. Sì, il MoDem ha approfittato illegalmente dei fondi europei per pagare parte del suo personale permanente spacciandoli per suoi assistenti parlamentari. Sì, gli eurodeputati e i tesorieri del partito erano a conoscenza del piano… ma non necessariamente il grande leader, François Bayrou: questo aveva stimato in sostanza l’11a camera di correzione di Parigi.
Dall’8 febbraio il pubblico ministero ha presentato ricorso contro l’assoluzione del vecchio leader centrista. “La Procura di Parigi contesta queste assoluzioni, ritiene che i fatti caratterizzano i reati imputati e che le prove di questi reati sono raccolte contro tutti gli imputati”, si legge in un comunicato stampa. Avendo presentato ricorso anche i condannati, si dovrà tenere un nuovo processo contro i leader del MoDem davanti alla Corte d’Appello di Parigi. Interrogata da Mediapart il 13 dicembre, la Procura della Repubblica precisa che ad oggi non è stata fissata alcuna data per questo processo. Considerate le consuete scadenze in Corte d’Appello, l’evento potrebbe svolgersi nel corso del 2025. Solo che nulla obbliga il procuratore generale della corte d’appello, direttore dell’udienza, ad affrettarsi. “Possiamo immaginare che nessuna data per questo processo sarà trovata nel 2025, o anche prima delle elezioni presidenziali”, sorride uno degli avvocati coinvolti nel caso. La decisione spetterà al procuratore generale Marie-Suzanne Le Quéau, nominata nell’ottobre 2023. Si tratta di una “donna convinta, rinomata per la sua indipendenza e la sua forza di carattere”, ha dichiarato nel suo discorso il primo presidente della Corte d’appello, Jacques Boulard nel discorso al momento della nomina di Marie-Suzanne Le Quéau. Il magistrato vorrà esercitare pienamente le sue prerogative oppure rinviare il processo per non destabilizzare il governo? La spinosa questione solleva ancora una volta la questione dei legami che uniscono la procura francese e il potere esecutivo.