Educazione, sanità, impatto ambientale. Sono questi i comparti che sembrano aggirarsi tra i corridoi opachi della Legge finanziaria con il cappello in mano. Al contrario la spesa per le armi viene decisamente rafforzata da un flusso di denaro che spinge verso l’obiettivo imposto dalla Nato per raggiungere il 2% del PIL.
La campagna Ferma il riarmo l’ha voluto ricordare ieri con una manifestazione nei pressi di Montecitorio. La spesa militare in Italia è aumentata del 132% negli ultimi 10 anni, il governo ha già stanziato 40 miliardi per l’acquisto di nuovi sistemi d’arma e la nuova finanziaria prevede un 12% in più per le spese militari.
I mendicanti della spesa sociale sostengono che basterebbe un taglio del 20% delle spese militari per mettere in sicurezza 700 scuole e abbassare del 30% le liste d’attesa per le visite mediche, finanziare interventi per la lotta al cambiamento climatico, ridurre la povertà energetica e sostenere gli impegni presi in sede internazionale per aumentare i fondi per la cooperazione allo sviluppo.
Tassare gli extraprofitti dell’industria militare è diventato un imperativo etico. Le prime 10 aziende italiane del comparto hanno registrato un utile netto di oltre un miliardo sulle esportazioni. Insomma sono le vittime delle guerre fuori e dentro i nostri confini nazionali ad arricchire le industrie di armi.