Ricordo come per anni aspettavo questo momento per vedere Novantesimo Minuto. Maurizio Barendson. Si vedevano tutti i risultati, ma soprattutto tutti i gol uno in fila agli altri, due parole di commento iniziale con un inviato e due parole alla fine, in mezzo due minuti di immagine. Il rapporto era ‘1 a 4’ o ‘1 a 5’: 1 di commento con una persona inquadrata e 4 di calcio vero e proprio con le squadre che giocano.
Quando da bambino andavo allo stadio perché non crescevo e quindi non dimostrando la mia età entravo con chi aveva l’abbonamento, potevo passare. Ci si sedeva sulle gradinate, portandoci un cuscinetto per non congelarsi il sedere.
E intanto qualcuno aveva la radiolina accesa e se segnava quelli che speravi avessero segnato c’era un grido generale che forse percepivano anche i giocatori, intuendo cosa era successo, se segnava chi non doveva segnare c’era un gelo che si trasmetteva in tutto lo stadio.
Si ascoltava la diretta, da tutti i campi, certo una partita più importante aveva la precedenza, ma veniva interrotta anche se segnava l’ultima in classifica, e anche quelle di B o C che erano in schedina. Così uno controllava il suo pezzetto di carta per vedere se si avvicinava ad un undici, o magari 12!!
De Andrè cantava “dal letame nascono i fior…”, ma tempo che siamo in un periodo dove si verifica sempre più che “dai fiori nasce il letame…”
Non voglio osannare quel periodo, scendere nel nostalgico e versare la lacrimuccia. Vorrei che si ricordasse come il calcio “aveva il suo posto”. Alla domenica e se c’era una partita ogni tanto era di mercoledì sera ed era di coppa, punto
Se volevi vedere un pezzo di partita aspettavi le 19 e alla domenica vedevi il tempo di una partita e non sapevi quale avrebbero trasmesso. Se ti andava bene era quella della tua squadra. Se eri stato bravo (e in questo caso, sono sincero, parlo al maschile, ma era così), riuscivi a non sapere nessun risultato fino alle 19 e vedevi la partita con l’emozione di non sapere il risultato finale. Si vedeva solo un tempo, quindi se ti facevano vedere il primo, voleva dire che in quello c’erano stati più gol e alla fine ti dicevano due parole su cosa era successo nel secondo tempo. Poche cose e chiare.
Alla domenica sera il magone tipico dei bimbi o ragazzini che l’indomani iniziano una settimana a scuola si mescolava con la sconfitta della propria squadra o veniva alleggerito dalla vittoria. Il giorno dopo (sono di Milano) si sarebbero sfottuti i milanisti o si sarebbero subiti i cori di questi. Quando meno si era uniti nel non sopportare gli juventini, esigua minoranza incomprensibile.
Noi bimbetti avevamo o la maglia dell’Inter o quella del Milan, pagata pochi soldi in qualche mercato, Nulla di più, Ci si distingueva per un numero sulla maglia, fine. Nessun nome, nessuna marca, nessun altro ammennicolo.
In questo modo vigeva una discreta democrazia: il costo del giocare era basso.
Poi al pomeriggio ci si vedeva ad un campetto, qualcuno arrivava con un pallone e le sfide più classiche erano tra milanisti e interisti con le maglie diverse. Ed erano quelle. Non cento maglie, ogni volta con uno “stile diverso”. Righe nero e blu o nere e rosse, fine.
Certo, voi direte, sei nato nel 1965, anni del boom, eravate tanti bimbi. Certo questo aiutava, ma non era tutto. Nella mia infanzia il mondo intorno a me cambiava, lo si respirava.
Torniamo al calcio, oggi. Ne so poco, chi lo segue da vicino, magari perché lavora (anche solo nei servizi allo stadio) mi dice: “Il calcio non esiste più”. Lo so che tutti lo pensiamo, ma vale la pena soffermarci su ciò che subiamo un po’ tutti, coloro che (caduti come Obelix nella pozione da bimbi) fatichiamo a non sbirciare e a vedere come è andata.
Innanzitutto: tutte le partite si possono vedere, dall’inizio alla fine, basta pagare. Così anche a Dakar sanno chi è Lautaro o Leao. Ma soprattutto si possono vedere TUTTE le partite in diretta perché le hanno spalmate e tra coppe e campionato OGNI santo giorno c’è una partita, o più, da vedere.
Ma, ed ecco una cosa importante: la proporzione per chi non paga è quella di sentire infinite trasmissioni in cui si parla parla parla, nella speranza di vedere qualche immagine. Si passa più tempo a vedere e rivedere un caso da moviola e discuterci sopra, che non “andare al sodo”. Il brodo è allungato fino a sfinire chiunque. Anche l’estate è quasi sparita mentre il calcio mercato avviene di continuo.
Non parliamo di dove vanno e vengono i giocatori. I “prezzi”, gli ingaggi, gli allenatori, e poi tutto ciò che ruota intorno a questo circo, pazzesco.
È evidente che poi: non si ha tempo di preoccuparsi dei bimbi di Gaza o altre ingiustizie nel mondo, l’ingiustizia che ci coinvolge di più o che occupa più spazio in tv e altrove è quel rigore che non ci hanno dato.
Mi sono soffermato solo su alcuni macro passaggi che hanno cambiato il rapporto con uno sport che ci piaceva, a tutti e tutte (stavolta, siamo più “democratici” ed il femminile va aggiunto).
Insomma, c’è chi ne ha scritto libri, ma nella nostra agenzia non sfioriamo mai questo tema, che è segnale di tempi, in cui le ingiustizie crescono e anche un ragazzino che vuole semplicemente giocare a calcio vede la sua famiglia stringere la cinghia per pagare, e non poco.