Il rinnovo contrattuale della logistica, trasporto merci e spedizioni, firmato il 6 dicembre dai sindacati confederali con le associazioni datoriali detta le nuove regole a un settore che secondo alcune stime produce oltre il 10% del PIL, impiega oltre un milione di lavoratori ed è stato teatro di alcuni tra i più vivaci conflitti sindacali degli ultimi anni e oggetto di numerose inchieste della magistratura. Per questo è utile provare a decifrarne almeno gli aspetti principali e a capirne l’impatto sui luoghi di lavoro_

 

Il contesto: un settore in crescita

Il quadro in cui si è sviluppata la vertenza contrattuale è stato fissato bene da Sergio Bologna in un articolo pubblicato a novembre: profitti mai così alti negli ultimi 10 anni (fonte: Mediobanca); l’80% dei dividendi nelle tasche dei soci e solo il 20% reinvestito, oltre la metà in partecipazioni (Facoltà di Ingegneria, La Sapienza); oltre il 50% dei lavoratori dipendenti italiani, quasi sette milioni, in attesa di rinnovo contrattuale (ISTAT). A questi dati si aggiungono quelli pubblicati del CENSIS, che parlano di una “bolla del lavoro”, in cui cresce l’occupazione ma non il PIL e dal 2007 il reddito disponibile lordo pro capite delle famiglie è diminuito del 7,7%.

La logistica non fa eccezione. I dati dell’Osservatorio Gino Marchet del Politecnico di Milano attestano che il fatturato della contract logistics (logistica in conto terzi) sono in crescita costante da 15 anni – unica eccezione il 2020, i cui contraccolpi, tuttavia, hanno impresso al settore un’accelerazione che lo ha portato dagli 87 miliardi del 2019 ai 117,8 del 2024.

 

Salari: le nozze coi fichi secchi

La piattaforma contrattuale licenziata un anno fa dai sindacati confederali chiedeva di superare l’IPCA arrivando ad aumenti del 18% per recuperare integralmente l’inflazione e di tenere anche conto della redditività del settore. Il comunicato con cui gli stessi annunciavano il raggiungimento di un accordo e la revoca dello sciopero parla di aumenti medi del 14,3%. Vediamo cosa dicono le tabelle. Tra il personale non viaggiante gli aumenti vanno dai 185,61 euro (+12,2%) del sesto livello, il più basso (non considero il sesto junior, perché scomparirà a fine 2025 su richiesta del sindacato), ai 319,24 euro (+15,7%) dei quadri, passando per i 230 (+12,5%) del 3s, considerato il livello di riferimento. Nel viaggiante si va da aumenti inferiori al 10% ai parametri più bassi (110) fino ai 290,53 (+15,8%) ai più alti, passando per i 260 (14,1%) al livello di riferimento B3. In sostanza gli aumenti più significativi arrivano a un esiguo numero di addetti in fascia alta, mentre la stragrande maggioranza ha aumenti limitati. La distribuzione degli aumenti appare ancor più chiara se osserviamo che nel personale non viaggiante salendo dal 6 al 3s (5 gradini) la forbice tra gli aumenti è 45 euro (0,3%), mentre dal 3s al Q (3 gradini) sale a ben 89 (1%). Analogamente nel viaggiante tra G1 e F2 (4 gradini) la differenza è 16 euro (0,4%), mentre tra F2 e C3 (3 gradini) è 64 (3,2%). È il classico marchingegno con cui le imprese incrementano gli aumenti medi tenendo basso il costo complessivo del rinnovo contrattuale. Lo stesso utilizzato magistralmente dalle imprese di TLC nell’ultimo rinnovo (uno di quelli scaduti) per tenere in un unico contratto i lavoratori dei call center (aumenti miseri) e quelli delle grandi compagnie telefoniche (aumenti più sostanziosi).

A questo si somma il consueto meccanismo per cui la prima metà dei soldi in più in busta paga arriva subito, mentre il resto si aggiunge in comode rate spalmate su due anni e mezzo, facendo sì che, come nel paradosso di Zenone, Achille (il salario) non raggiunga mai la tartaruga (l’inflazione). Nulla anche in termini di più scatti di anzianità, aumento delle maggiorazioni per lavoro notturno e al gelo (come chiedevano in particolare i Cobas) e arriva persino la riduzione della copertura della malattia a scalare quando ci si ammala prima di un riposo (“misura antiassenteismo”). Un driver Amazon con quattro anni di anzianità, che lavora 4 giorni a settimana (prassi molto comune) il primo di gennaio si metterà in tasca circa 50 euro netti in più al mese. Uno scandalo.

 

Regole: lucine e ombre

Se nella parte salariale le imprese vincono 3-0, sul piano normativo il bilancio è più sfaccettato. In termini di flessibilità – una delle principali richieste datoriali – le imprese non sfondano sull’orario di lavoro, ma ottengono più contratti flessibili. Il tetto ai contratti atipici (tempo determinato, somministrazione) passa dal 27% al 41%, quello al part-time dal 25% al 41%. Inoltre si riconosce la possibilità di assumere stagionali nell’autotrasporto in settori specifici (agricoltura, turismo, combustibili per riscaldamento).

La parte più interessante, tuttavia, è quella sugli appalti, un tema chiave, perché o si ristabilisce un controllo sulla giungla rivelata dalle inchieste milanesi oppure qualunque contratto è destinato a restare in larga misura inesigibile. Uno degli aspetti positivi è che il rinnovo introduce la clausola sociale per il personale viaggiante in caso di cambio di fornitore per i servizi di distribuzione urbana. Assotir, che pure è firmataria, ha messo a verbale che non condivide la misura anche perché “apre un pericoloso precedente”.

L’altro aspetto interessante riguarda la “qualificazione della filiera” degli appalti veri e propri. Il testo ribadisce il divieto di subappalto, ma trasforma la deroga per le “imprese associate” in deroga per le “imprese consorziate”, rafforzando in qualche misura la responsabilità in solido del committente in caso di illeciti, ma soprattutto impone vincoli “qualificanti” alle imprese appaltatrici, sia in termini di organizzazione d’impresa sia, soprattutto, di trasparenza contabile e regolarità contributiva e fiscale. Se le inchieste della Procura di Milano attestano che spesso le “società filtro” che fatturano ai committenti le prestazioni delle società “serbatoio” (di manodopera) già assumono la forma di consorzi (con pochi o punto dipendenti), la richiesta del DURC aggiornato e della documentazione dei versamenti fiscali (DURF o F24) potrebbe rendere effettivamente più difficile ai grandi committenti scaricare lo “sporco lavoro” di riduzione dei costi sulle ditte d’appalto e via via giù lungo la catena dei subaffidi.

Per il resto ci sono altre piccole migliorie, ad esempio sulle responsabilità dei conducenti in caso di danni (primo evento 100% a carico della ditta, al secondo 65% del lavoratore). Sul tema della sicurezza – è utile ricordare che tre delle cinque vittime della strage a Calenzano erano camionisti – viene introdotto il rappresentante per la sicurezza di sito, che potrebbe operare negli interporti o in snodi logistici che coinvolgono più di 500 addetti con un grado di maggiore autonomia rispetto all’RLS aziendale. Nulla invece su un tema sentito da molti lavoratori: utilizzo dei dati e controllo a distanza.

La consultazione dei lavoratori è fissata entro il 27 gennaio, non è ancora chiaro se in forma di referendum (nel qual caso il risultato darebbe un’idea precisa della percezione dei lavoratori) o di semplici assemblee.

 

Un’occasione persa

Non vado oltre, ma provo a tirare qualche conclusione. Alla presentazione dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Gino Marchet i manager della logistica hanno ripetuto il mantra del “rendere più attrattive le nostre aziende”. A giudicare dagli aumenti salariali del rinnovo contrattuale o hanno deciso di fare le nozze coi fichi secchi oppure hanno adottato una strategia a geometria variabile, concedendo pochissimo a livello nazionale e rassegnandosi a fare qualche concessione a livello locale, in particolare in quei siti dove i sindacati di base godono di rapporti di forza più favorevoli.

Soprattutto quei manager apparivano più intimoriti dalle inchieste della Procura di Milano che dagli scioperi. Un atteggiamento che ricorda il rinnovo della vigilanza privata, il settore coi salari più bassi in Italia (quelli dei fiduciari secondo i giudici milanesi e torinesi violano l’articolo 36 della Costituzione), nonostante la crescita dei fatturati. Dopo la firma del rinnovo nel maggio del 2023 i clamorosi e diffusi casi di lavoro sottopagato, sfruttamento e minacce portati alla luce dalla magistratura hanno spinto le stesse organizzazioni datoriali a riaprire la partita contrattuale, che a febbraio hanno firmato un nuovo accordo salariale con aumenti ben più generosi. Prima ancora, nell’ottobre 2023, Sicuritalia, una delle aziende più colpite dagli scandali, aveva sottoscritto aumenti del 38%.

Insomma in un quadro europeo (a cui l’Italia non sfugge), in cui settori di lavoro in gran parte a bassa qualifica e bassi salari registrano una carenza di manodopera, i grandi sindacati italiani, a differenza dei loro omologhi europei, non colgono l’occasione. Una scelta singolare, soprattutto nella logistica, dove in questi anni si è registrata una propensione alla lotta che ha prodotto anche risultati significativi (si pensi all’ingresso del sindacato in Amazon) e in una fase in cui la contemporanea rottura sul contratto dei metalmeccanici e il braccio di ferro degli autoferrotranvieri (con un recente sciopero di 24 ore senza fasce di garanzia) avrebbero consentito di sommare le forze di tre settori chiave. Quando ero delegato spesso i colleghi mi chiedevano perché non fare causa invece di ricorrere a iniziative sindacali. E io rispondevo che andare in tribunale di solito è un’ammissione di debolezza nel posto di lavoro e che i tempi della giustizia sono infiniti. Oggi, di fronte a episodi in cui il sindacato si fa fare concorrenza dalla Procura di Milano, sosterrei ancora la stessa tesi…  ma certo avrei qualche difficoltà in più.

da Officina Primo Maggio