Ci sono personaggi che la storia ricorderà per sempre, sia in modo positivo che negativo. Molti hanno scritto sull’ultimo Imperatore d’Etiopia, ma a noi interessa la versione africana e soprattutto i dettagli poco conosciuti.
Come l’antico Egitto e la Nubia, l’Etiopia ha sempre suscitato grande curiosità; il suo nome in greco antico significa Paese degli uomini dalla pelle bruciata. Veniva definito anche Paese degli dei e degli uomini integri, comprendeva una grande diversità di popoli e andava oltre i territori attuali – un tempo includeva l’Eritrea e la Somalia – tanto che in certe mappe l’Oceano Atlantico veniva chiamato Oceano Etiope. Più tardi venne usato il nome Abissinia.
Il cristianesimo ortodosso etiope era frutto di un’evoluzione non sempre pacifica, con la creazione di una religione sincretica in cui confluivano i riti dell’antico Egitto, l’animismo, il giudaismo e il cristianesimo. L’Impero d’Etiopia, fondato nel 1137 in continuità con l’antico regno di Axum, venne governato per secoli dall’etnia Habesha e riuscì a respingere gli eserciti arabi e turchi. Alla fine dell’Ottocento iniziò la penetrazione coloniale italiana nella zona, fino alla conquista dell’Eritrea nel 1888. Nel 1895 la guerra d’Abissinia con l’Imperatore Menelik si concluse l’anno seguente con la sconfitta italiana nella battaglia di Adua e il trattato di Addis Abeba, che stabilì i nuovi confini dell’Eritrea e costrinse l’Italia a riconoscere la sovranità dell’Etiopia.
Secondo una leggenda un prete aveva fatto una profezia ai genitori di Hailé Selassié, dicendo loro che il figlio sarebbe stato un grande sovrano, avrebbe fatto grandi cose per l’Impero, ma avrebbe poi distrutto buona parte di ciò che aveva costruito.
Nato come ras Tafari Maconnen, era un bambino di piccola statura, molto sveglio, curioso e disciplinato. A dodici anni ebbe il suo primo incarico amministrativo e nel febbraio 1917 divenne co-reggente insieme alla regina Zaouditou, figlia di Menelik. Il 6 ottobre 1928 divenne Negus e venne incoronato il 31 aprile 1930, in un contesto sempre più complicato. Capì l’importanza di aprirsi senza rinunciare alle tradizioni e riformò l’educazione, costruendo scuole e università, riorganizzò l’esercito, cambiò la legge sulla proprietà delle terre, fino ad allora riservata alle classi nobili e alla chiesa e mise fine a una forma di schiavitù ancora esistente.
Nel 1935 l’Italia attaccò l’Etiopia senza dichiarazione di guerra, un atto condannato dalla Società delle Nazioni e riuscì a sconfiggere la resistenza degli etiopi anche con l’utilizzo di armi chimiche come l’iprite, entrando nella capitale Addis Abeba il 5 maggio 1936. Supplicato dal clero, Hailé Selassié andò in esilio in Svizzera e Gran Bretagna per non essere catturato. Il 12 maggio 1936 pronunciò un discorso di condanna dell’aggressione militare italiana all’assemblea della Società delle Nazioni a Ginevra, denunciando l’uso delle armi chimiche contro la popolazione.
Hailé Selassié rientrò in Etiopia nel 1941 insieme alle truppe inglesi ed esortò gli etiopi a non vendicarsi sugli italiani per le atrocità commesse durante e dopo la guerra di conquista.
Negli anni seguenti continuò l’opera di modernizzazione del Paese e ricoprì un ruolo importante nel processo di decolonizzazione, con la creazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana (di cui venne eletto presidente nel 1963), per poi trasformarsi da un simbolo di resistenza a una figura sempre più screditata.
Il malcontento per la lentezza del progresso economico e delle riforme politiche si diffuse nella popolazione. Nel 1960 un tentativo di colpo di stato fu represso duramente. Nel 1974 una siccità provocò migliaia di morti e un gruppo di militari conosciuti come Derg riuscì a deporlo: lo arrestarono, lo dichiararono incapace di governare e instaurarono una repubblica militare. Finì così una dinastia millenaria, le cui radici mitiche risalivano all’unione tra Re Salomone e la Regina di Saba.
Hailé Selassié morì il 27 agosto 1975, in teoria per un’ostruzione all’apparato circolatorio dovuta a una trombosi, ma i sospetti di un assassinio non sono mai stati dissipati. Nel 1992, cinque anni dopo la caduta del regime militare, i suoi resti furono trasferiti alla chiesa di Ba’ata Mariam Geda e nel 2000 fu sepolto nella Cattedrale della Santissima Trinità.
Si racconta che un vescovo etiope lo avvisò di un complotto in atto per rovesciarlo; Hailé Selassié rispose che se il popolo aveva scelto ideologie straniere non glielo avrebbe impedito. Una fine che ricorda quella di Thomas Sankarà, presidente del Burkina Faso, deciso a non tradire l’amicizia con Blaise Compaoré che poi lo avrebbe rovesciato e ucciso.