L’amministratore delegato di McDonald’s ha guadagnato nel 2023 ben 10,8 milioni di dollari, mentre la retribuzione media di un lavoratore è di 8,69 dollari all’ora. Nel settore che cucina e distribuisce cibo opera il 29% dei lavoratori statunitensi, retribuito con paghe che sono tra le più basse del mondo del lavoro. A ciò si aggiunga che l’87% di questi lavoratori, che sono in buona parte neri o ispanici, non ha nessuna copertura sanitaria, o è molto ridotta, in un Paese dov’è assente una sanità gratuita, se non per i molto poveri, e in cui dai 50 ai 90 milioni di cittadini, a seconda delle stime, non hanno tutele per la salute o sono sottoassicurati, e devono rinunciare alle cure mediche.
Lunghe ore di preparazione dei pasti in ambienti spesso ristretti e insalubri e con alti carichi di lavoro fanno tornare la sera a casa con in tasca somme che spesso non permettono di sfamare adeguatamente la famiglia, tanto che l’11% dei lavoratori impiegati nella preparazione e nel servizio di cibi è iscritto al Supplemental Nutrition Assistance Program (SNAP) per ricevere i buoni pasto, i cosiddetti food stamps, il cui importo era stato aumentato durante la pandemia, per essere poi ridotto dopo il picco del virus, aumentando così le code ai banchi alimentari, organizzati da enti laici e religiosi.
L’inflazione ha aggravato il problema. Mentre i rapporti ufficiali sostengono che l’inflazione si sia ridotta, alcuni beni e servizi essenziali costano in media fino al 20% in più in rapporto a quelli dell’inizio del 2020. E molte aziende hanno ridotto subdolamente i contenitori dei prodotti, mantenendone il prezzo.
Ciò avviene mentre i ristoranti sprecano dal 4% al 10% del cibo acquistato, che finisce nell’immondizia e poi in discarica, tanto che il 15% circa di tutti i rifiuti alimentari statunitensi proviene dai ristoranti.
I lavoratori dei fast food sono stati al centro della campagna, iniziata nel 2012, rafforzata dallo sciopero di un giorno dell’aprile 2013 iniziato a New York e diffusosi poi in altre città nei mesi successivi, per alzare il salario minimo federale ad almeno a 15 dollari all’ora dagli attuali 7,25. In molte città e molti Stati dell’Unione (ma non in una ventina di essi, praticamente tutti quelli governati dai Repubblicani), e complessivamente a 26 milioni di lavoratori, il risultato dei 15 dollari minimi all’ora è stato ottenuto o oltrepassato da leggi locali, ma le aziende, anche multinazionali con immensi profitti, hanno spesso cercato di recuperare il miglioramento salariale con accorciamento dell’orario e proporzionale abbassamento della retribuzione, oltre a tagli del personale e a riduzione dei costi. Ciò che fa sì che uno dei settori centrali nella vita quotidiana del Paese sia uno dei posti più insicuri per la modalità del lavoro e per mantenere l’impiego.
Anche per questo, oltre che per le massicce iniziative contro il Sindacato prodotte dalle aziende, solo l’1,4% dei lavoratori del servizio alimentare è sindacalizzato.
Sarebbero quindi oltremodo necessarie misure per affrontare le dilaganti povertà e le basse retribuzioni ma l’amministrazione Biden non ha aumentato il salario minimo, come aveva promesso di fare, e non ha portato a compimento la legge Protecting the Right to Organize (Pro Act), congelata in Parlamento da anni, che avrebbe potuto dare una grande mano alla sindacalizzazione. E Trump, cucinando patatine fritte per i clienti di un negozio di McDonald’s in Pennsylvania durante la campagna elettorale, richiesto di cosa pensasse dell’argomento del salario minimo almeno di 15 dollari, ha risposto: “Queste persone lavorano duro. Sono fantastici”.
Con la nuova amministrazione Trump sono assai prevedibili sia massicci licenziamenti di dipendenti pubblici, che saranno individuati dal “Dipartimento per l’efficienza del governo”, affidato ai miliardari Elon Musk e Vivek Ramaswamy, sia una riduzione della spesa sociale (tagli alla previdenza, alla sanità -ai programmi federali Medicare e Medicaid- e al sostegno ai pasti gratuiti), affidata all’Ufficio di Gestione e Bilancio a cui è stato nominato Russell Vought, uno dei principali estensori del Project 2025, scritto da Heritage Foundation. Una summa di propositi, che definire conservatrice è dir poco, della “rivoluzione” in ottica privatizzatrice, delle Agenzie federali (del lavoro, ambiente, salute, ecc.), le quali sono state contestate dal rinnovato Presidente negli ultimi anni per i loro poteri, utilizzati spesso a favore dei lavoratori e per affrontare la crisi climatica.
Tagli allo Stato sociale, nell’ottica di un’“austerità solo per i poveri”, che servono, oltre che per riaffermare le ragioni ideologiche contrarie al Welfare State (peraltro assai ridotto negli USA), per ricavare risorse per un’ulteriore riduzione delle imposte, in particolare quelle sugli alti redditi, aggravando ulteriormente le immense e sempre crescenti diseguaglianze economiche (Il famigerato 1% degli statunitensi possiede 16 volte la ricchezza dell’intero 50% più povero della popolazione).
Una settimana di lavoro di 40 ore, se pagata al salario minimo federale, comporta una retribuzione di meno di 300 dollari, al lordo delle imposte, che, già di per sé, è inferiore alla spesa per alimenti essenziali di una famiglia di 4 persone e non copre le altre spese, a partire dal quella dell’abitazione.
Non per niente cresce negli USA il numero dei senza casa (i censiti sono più di mezzo milione) e gli sgomberi degli accampamenti che sorgono ai margini delle grandi città; tendopoli dove vivono anche persone che hanno un lavoro, ma che (sono 40 milioni negli USA questi casi) hanno una paga insufficiente a pagare un affitto.
Fonte:
A.Jacobo, Millions who prepare America’s food go hungry: Why food service workers face crisis-level food insecurity, Nation of Change, 25.11