In attesa di incontrarci dal 16 novembre con Eszther Koranyi e Rana Salman, co-direttrici del movimento pacifista Combattenti per la Pace, nell’ambito del ciclo di incontri La Pace è la Via promosso da una folta rete di associazioni in varie città italiane (qui il link al dettagliato programma) pubblichiamo questa testimonianza pervenuta proprio da uno dei tanti fronti che vede regolarmente impegnato questo movimento, quello della raccolta delle olive – un fronte più che mai difficile quest’anno.

È arrivata finalmente la stagione per la raccolta di olive qui in Israele e Palestina. I frutti sono bei maturi e le famiglie si preparano a raccoglierli per la vendita all’ingrosso o per la spremitura per ottenere olio, sapone o altri prodotti naturali che risalgono a generazioni fa. Le famiglie hanno le loro miscele segrete, ricette e usanze per gli alberi che crescono sui terreni di cui sono proprietari. Il tutto descrive un’immagine di serenità, gioia e pace.

Ma diamo un’occhiata alla cruda realtà e alla cupa verità che accade ogni anno durante le settimane del raccolto, che diventano un’opportunità per i più estremisti tra i coloni di accanirsi in tutta la loro prepotenza per impedire alle comunità palestinesi di raggiungere le proprie terre, le proprie riserve idriche, persino i propri utensili. È uno sfoggio di aggressività che ogni anno li diverte molto, solo che quest’anno è andata peggio del solito.

Come ogni anno, nella nostra miglior tradizione, circa 40 membri del nostro staff di attivisti e simpatizzanti dei Combattenti per la Pace si sono recati a Battir, un villaggio palestinese alla periferia di Betlemme, noto per gli antichi corsi d’acqua, i resti di una ferrovia ottomana e gli abbondanti ulivi.

Ci siamo incontrati come squadra, abbiamo discusso la nostra strategia per aiutare i contadini nel miglior modo possibile e poi siamo partiti a piedi verso Battir, divisi in due gruppi. Mentre cercavamo di avvicinarci al villaggio, un gruppo è stato fermato dall’esercito israeliano, spinto a terra, molestato e bloccato, mentre l’altro gruppo è stato immediatamente circondato da coloni parecchio violenti proprio mentre stava per raggiungere Battir.

Abbiamo messo in campo tutto il nostro addestramento nonviolento per smorzare la situazione e dichiarare il nostro diritto a essere lì e la nostra ferma intenzione di raccogliere le olive. In risposta ci hanno lanciato addosso dei fumogeni, hanno mostrato le loro armi e incitato alla violenza contro di noi.

Abbiamo continuato nella nostra marcia lentamente, circondati da personale militare, e siamo riusciti a raggiungere un grande albero dove abbiamo raccolto le olive, lavorando insieme come una perfetta squadra e abbiamo mantenuto la nostra posizione per sostenere i nostri diritti umani e quelli degli abitanti di Battir.

Abbiamo fatto tutto il possibile per impedire ai coloni di avvicinarsi agli alberi e a noi stessi e per impedire ai militari di allontanarci con la forza. Conosciamo i nostri diritti, sappiamo che i contadini di Battir hanno dei diritti e siamo rimasti uniti e compatti per rivendicarli. Alla fine, si è presentato un comandante di unità che ha dichiarato l’area “zona militare chiusa” e abbiamo dovuto ritirarci, sfrattati dall’esercito e dalla minaccia di una crescente violenza.

Come se tutto questo non fosse abbastanza (figuriamoci!) i coloni come dei veri fuorilegge stanno scatenando rivolte nelle terre dei palestinesi, supportati dall’esercito israeliano che se ne sta inerte a guardare. Come si può permettere che questo continui? Impossibile voltare lo sguardo dall’altra parte.

Il tempo stringe per troppe persone. Per le famiglie che non possono raccogliere le loro olive e vivono in balia della violenza dei coloni, per la gente del nord di Gaza che non ha cibo, aiuti o sicurezza, e per gli ostaggi che languono abbandonati nei tunnel senza luce né aria. Continueremo a tener duro per sostenerli tutti quanti.

Non rinunciamo alla speranza che questa guerra finisca, che tutte queste morti e uccisioni finiscano e che sia possibile vedere il giorno in cui potremo dire che la guerra è finalmente finita. Non possiamo lasciare che l’oscurità abbia la meglio su di noi. Come ha detto Rana, la nostra co-direttrice palestinese, in una recente intervista alla CNN: “Oggi siamo uniti nel nostro dolore, ma siamo anche uniti nella nostra speranza. Usiamo questo tempo non solo per riflettere, ma per agire”

Continuate a sperare insieme a noi e a sperare nella pace che viene dalla solidarietà.

Il nostro lavoro ha bisogno anche del vostro sostegno.

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