1. Salvini ha dato il via ed è partito un attacco eversivo contro la magistratura, dopo le decisioni dei Tribunali di Roma e di Catania che hanno ritenuto in contrasto con il Diritto dell’Unione europea anche il più recente decreto legge n.158/2024, adesso trasfuso, per quanto sembra, in emendamenti al precedente decreto legge n.145/2024. Una selva di dichiarazioni aggressive che negano l’ordine costituzionale (artt.10,11 e 117) che impone di applicare la legge nazionale sulle procedure di asilo in conformità alla normativa vincolante ed alle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea. “Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo”, ha affermato il leader della Lega e vice della Meloni, Matteo Salvini, che il 20 dicembre prossimo attende la sentenza del Tribunale di Palermo nel processo “Open Arms”. Inserire per decreto legge come “norma primaria” la lista dei paesi di origine sicuri, che prima risultava stabilta da un Decreto interministeriale, non ha evidentemente eliminato il contrasto tra la normativa italiana e il diritto dell’Unione europea in materia di procedure accelerate in frontiera, con immediate ricadute sulla pratica (in)attuazione del Protocollo Italia-Albania.

 

2. Il Tribunale di Roma ha sollevato una nuova questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE sul diniego per manifesta infondatezza adottato dalla Commissione territoriale, nei confronti di un richiedente asilo egiziano, trasferito in Albania e poi ricondotto in Italia per mancata convalida del trattenimento. Dopo il primo rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bologna, relativo alla normativa previgente, con la lista di paesi di origine sicuri stabilita da un Decreto interministeriale, adesso sarà sottoposto alla verifica dei giudici di Lussemburgo il nuovo Decreto legge n.158/2024.

Si pongono alla CGUE i quesiti pregiudiziali scaturiti dal Decreto legge “Paesi sicuri” n.158/2024 che dovrebbe essere trasfuso in emendamenti nel decreto legge 145/2024, in sfregio alle Camere, bypassando le audizioni delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie, e il parere della Commissione affari costituzionali. In particolare la questione più rilevante riguarda la possibilità di uno Stato di desgnare per legge un Paese di origine come sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione”, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, ed al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale li contenuto, e di trarne le proprie valutazioni In ordine alla ricorrenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva 32/2013, e se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza. Si chiede anche se il diritto dell’Unione, osti a che un Paese sia definito ”di origine sicuro” qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali non soddisfa le condizioni sostanziali di designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva.32/2013 sulle procedure.

 

3. Una conferma dell’orientamento dei giudici romani arriva intanto dal Tribunale di Catania, secondo cui la lista di “paesi sicuri”, prevista adesso dal Decreto legge n.158/2024, “non esime il giudice all’obbligo di una verifica della compatibilità” di tale “designazione con il diritto dell’Unione europea”, aggiungendo che “in Egitto ci sono gravi violazioni dei diritti umani» che “investono le libertà di un ordinamento democratico”. E qui il richiamo obbligato è all’art.10 della Costituzione che garantisce il diritto di asilo con una portata più ampia di quanto preveda il diritto dell’Unione europea con l’istituto della protezione internazionale. Perchè i giudici sono tenuti ad applicare la legge rispettando il diritto euro-unionale, ma anche fornendo una interpretazione costituzionalmente orientata.

Non sono stati convalidati, quindi, cinque decreti di trattenimento amministrativo disposti dal Questore di Ragusa nei confronti di richiedenti asilo che avevano presentato domanda di riconoscimento di protezione internazionale, tre egiziani e due bengalesi.  Per il Tribunale di Catania, malgrado il governo abbia adottato il decreto legge n.158 del 23 ottobre 2024, che adesso si vuole “dissolvere” in emendamenti nel decreto legge n.145/2024, che dovrà essere convertito entro il prossimo 23 novembre, la designazione dell’Egitto come “paese di origine sicuro” non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024″. Secondo il Tribunale di Catania, l’Egitto rimane”uno dei Paesi in cui si applica la pena di morte e nel quale il numero delle esecuzioni è fra i più alti del mondo”, nel quale si sono “verificati anche recentemente casi di detenzioni arbitrarie e arresti senza mandato da parte delle forze di polizia, è comune la pratica della detenzione preventiva e non sono infrequenti le sparizioni forzate”. Inoltre, “si registrano violazioni in materia di libertà di religione e diritti civili, violenze e discriminazioni su donne e minori” e “nell’ultimo rapporto del comitato sulla tortura delle Nazioni Unite si denuncia un uso sistematico della tortura e dei maltrattamenti da parte di polizia, guardie penitenziarie, membri delle forze dell’ordine e degli apparati militari”. Queste valutazioni sono state tratte da “una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’Easo, dall’Unhcr, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti”. Mentre il Decreto legge del governo sui paesi sicuri non fa più riferimento, come i precedenti decreti interministeriali sulla stessa materia, alle schede paese ed alla situazione specifica del rispetto dei diritti umani nei paesi di origine. Ma per Maurizio Gasparri, “arriva puntuale un’altra decisione sorprendente da un giudice di Catania. Nessun Paese è sicuro, nemmeno forse la città di Catania, che ha magistrati di questo genere“. In questo caso Il Giornale insinua addirittura che nel centro Hotspot di Pozzallo,” il migrante ha fatto la rituale domanda d’asilo: una prassi che viene consigliata agli stranieri che entrano in modo irregolare in Italia per rallentare le procedure di rimpatrio“.

Sono ormai evidenti i propositi del governo nell’utilizzo, finalizzato al respingimento o all’espulsione, delle procedure accelerate in frontiera, anche in Albania, al di fuori del territorio dell’Unione europea. Sotto questo specifico profilo appare del tutto improvvido, alla luce della vigente legislazione interna ed unionale, il pronunciamento dell’UNHCR che sarebbe favorevole alla creazione di Hub per l’esame delle domande di asilo anche al di fuori del territorio degli Stati membri dell’Unione europea, una posizione gravissima che smentisce precedenti posizioni di questa organizzazione e tenta di legittimare scelte dei governi che, alla prova dei fatti, si rivelano in contrasto persino con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, di cui questa organizzazione dovrebbe essere il principale custode. Per altro verso, l’avallo politico di Ursula von der Leyen ai progetti italiani (ed europei) di esternalizzazione del diritto di asiloseppure ridimensionato da altri componenti della Commissione, rimane ancora al centro di uno scontro politico che potrebbe avere ripercussioni nei rapporti tra Stati membri, ed anche sulla stessa Commissione europea e sui suoi rapporti con il Parlamento UE.

 

4. La vigente normativa europea, Direttive n.32 e 33 del 2013, in materia di procedure e accoglienza dei richiedenti asilo, non consente la gestione e di procedure di asilo in strutture di detenzione al di fuori del territorio degli Stati dell’Unione europea. Fino a quando le normative europee, frutto del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, nel 2026 non modificheranno il quadro legislativo vigente, i centri di detenzione in Albania e la commessa “finzione di non ingresso nel territorio italiano” resteranno privi di una base legale. E lo stesso si può affermare per le deportazioni di migranti maschi “non vulnerabili”, maggiorenni, provenienti da paesi di origine sicuri, soccorsi in acque internazionali da mezzi militari italiani, selezionati con criteri assolutamente discrezionali dalla polizia, con il concorso dell’OIM, e trasferiti in Albania. In assenza di una qualsiasi base legislativa, interna o unionale, che ne disciplini le modalità di trattenimento amministrativo. E dunque in violazione dell’art.13 della Costituzione italiana e dell’art.5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Secondo l’Associazione italiana degli studiosi di diritto dell’Unione europea (AISDUE): “Il principio del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto nazionale è acquisito da circa 70 anni ed è stato riconosciuto anche dalla nostra Corte costituzionale”.  Pertanto, tale principio, volto a garantire che i cittadini europei siano tutelati allo stesso modo in tutti i Paesi dell’Unione stessa, comporta l’obbligo a carico delle autorità nazionali, incluse quelle giurisdizionali, di interpretare le norme interne, se possibile, in conformità al diritto dell’Unione, e, in caso contrario, di “disapplicare” il diritto nazionale incompatibile, anche se si tratta di leggi successive alle norme dell’Unione”. Collegato a tale principio, è il monopolio riservato alla Corte di giustizia di assicurare l’interpretazione del diritto dell’Unione, per modo che le sue sentenze obbligano il giudice nazionale ad attenersi a tale interpretazione.

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Sulle procedure accelerate in frontiera attacco eversivo contro la Magistratura