Da sempre si combatte contro le lungaggini e le complicazioni della burocrazia. Non c’è governo che non abbia posto la semplificazione tra i primi posti della sua azione. E non sono mancate, per la verità, iniziative, anche legislative, per cercare di ridurre i tempi dell’azione amministrativa, renderla semplice, trasparente e partecipata e avvicinarla ai cittadini. Tuttavia, nonostante i buoni proposti e le azioni intraprese, siamo ancora costretti a sopportare il peso insostenibile (e ingiusto) della burocrazia. Insomma, carte, timbri, moduli da compilare e attese agli sportelli sono vissuti come dei veri e propri incubi. Tanti cittadini quando sono costretti ad interfacciarsi con la macchina pubblica spesso scivolano in un profondo stato di angoscia. Non solo, con un miglioramento della qualità dei servizi pubblici che avanza a passo di lumaca, la cattiva abitudine della nostra PA di richiedere dati e documenti che le amministrazioni già possiedono è diventata una prassi consolidata.  A segnalarlo è un recente report dell’Ufficio studi della CGIA.

Nell’offerta dei servizi pubblici digitali, la nostra Pubblica Amministrazione (PA) è tra le peggiori d’Europa; conseguentemente i tempi medi per il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni sono tra i più elevati. Si tratta di disservizi che hanno, purtroppo, anche una ricaduta economica spaventosamente elevata. Elaborando alcuni dati pubblicati dall’OCSE, per le nostre Pmi il costo annuo ascrivibile all’espletamento delle procedure amministrative è di 80 miliardi di euro. Praticamente una tassa nascosta da far tremare i polsi. La complessità nell’adempiere alle procedure imposte dalla nostra PA è un problema che in Italia è sentito da ben 73 imprenditori su 100. Tra i 20 paesi dell’Area dell’Euro solo in Slovacchia (78), in Grecia (80) e in Francia (84) la percentuale degli intervistati che ha denunciato questo problema è superiore al tasso riferito al nostro Paese. La media dell’Eurozona è pari a 57. Ma in tante città si fa fatica anche ad ottenere il rilascio della carta d’identità in tempi ragionevoli, per non parlare del “caos passaporti” o  di ciò che accade per il rilascio dei permessi di soggiorno. Mentre si fa sempre più strada l’esternalizzazione di queste funzioni, svuotando l’azione pubblica a vantaggio del privato.

Qualsiasi osservatore farebbe fatica a immaginare che in un Paese la PA possa rappresentare un ostacolo, anziché un elemento di sostegno e di crescita economica. Ma in Italia, purtroppo, le cose stanno diversamente. Intendiamoci, anche noi possiamo contare su punte di eccellenza della macchina pubblica non riscontrabili nel resto d’Europa, ma mediamente la nostra PA funziona con difficoltà e in alcune aree del Paese costituisce un freno allo sviluppo.  Si pensi che, in virtù del Regional Competitiveness Index (RCI), con riferimento al sub-indice relativo al contesto internazionale, tra tutte le realtà italiane la prima, la Provincia Autonoma di Trento, si posiziona al 158° posto, su 234 territori UE monitorati in questa indagine. Secondo uno studio dell’OCSE, l’inefficienza della nostra Pubblica Amministrazione ha delle ricadute negative sul livello di produttività delle imprese private. In buona sostanza, dai calcoli dell’Organizzazione ottenuti attraverso l’incrocio della banca dati Orbis del Bureau van Dijk e dei dati di Open Civitas, emerge che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone (Nord Italia) dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente (sempre Nord Italia). Diversamente, dove la giustizia funziona peggio, la sanità è malconcia e le infrastrutture sono insufficienti (prevalentemente nel Sud Italia), anche le imprese private di quelle regioni perdono competitività.

La realtà territoriale più virtuosa d’Italia, si legge nel report,  è Trento, con indice IQI 2019 pari a 1; rispetto a 10 anni prima la provincia trentina ha recuperato 2 posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio scorgiamo Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma. Insomma, nei primi 10 posti, ben 8 province appartengono alla macro area del Nordest. In coda, infine, notiamo Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia che, purtroppo, occupa l’ultima posizione.”

Con troppe leggi, decreti e regolamenti i primi penalizzati sono i funzionari pubblici che nell’incertezza interpretativa si “difendono” spostando nel tempo le decisioni. Per la CGIA di Mestre è necessario: “migliorare la qualità e ridurre il numero delle leggi, analizzando più attentamente il loro impatto, soprattutto su micro e piccole imprese; monitorare con cadenza periodica gli effetti delle nuove misure per poter introdurre tempestivamente dei correttivi; consolidare l’informatizzazione della Pubblica amministrazione, rendendo i siti più accessibili e i contenuti più fruibili;  far dialogare tra di loro le banche dati pubbliche per evitare la duplicazione delle richieste; permettere all’utenza la compilazione esclusivamente per via telematica delle istanze; procedere e completare la standardizzazione della modulistica; accrescere la professionalità dei dipendenti pubblici attraverso un’adeguata e continua formazione.”

Qui per approfondire l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2024/10/Burocrazia-26.10.2024.pdf