Il recente provvedimento della magistratura sui migranti che ha ricordato al nostro governo come le norme europee siano gerarchicamente di ordine superiore a quelle nazionali mi ha indotto a una riflessione sul tema dei rifiuti. La gerarchia europea prevede, secondo il dettato delle direttive 2008/98 e 2018/851 la seguente precisa serie di azioni, da applicare in sequenza e non a caso.

  1. prevenzione;

  2. preparazione per il riutilizzo;

  3. riciclaggio;

  4. altro recupero (per esempio recupero di energia);

  5. smaltimento.

Questo significa che uno Stato o una Regione o un territorio prima di pensare alla raccolta differenziata funzionale al riciclaggio e tanto più prima di pensare a termovalorizzatori e discariche deve essere a posto con le azioni in cima alla piramide della gerarchia europea. Il motivo della scelta della Waste Framework Directive è semplice e rimanda al concetto di economia circolare. La minimizzazione degli sprechi, di materia e energia, parte proprio dalla corretta applicazione di prevenzione e riutilizzo, le prime due azioni in genere bellamente ignorate. Anzi, come nel caso dell’inceneritore di Roma, si passa direttamente al punto 4. Riformulo ora la gerarchia europea in modo più sintetico e intuitivo all’insegna di 5 R, la lettera iniziale della parola Rifiuto che può facilmente diventare invece un’altra R, quella di Risorsa.

  1. RIDURRE i rifiuti

  2. RIUTILIZZARE

  3. RICICLARE

  4. RECUPERARE

  5. RESIDUI in discarica

La prevenzione, ovvero la riduzione dei rifiuti alla fonte, dovrebbe essere una pratica che contrasti quella dell’”usa e getta” imperante che è alla base da decenni della società dei consumi e dell’entropia. Se parliamo di prodotti durevoli, ad esempio gli elettrodomestici è chiaro che tutto parte dall’impegno a fabbricare prodotti che non siano all’insegna dell’obsolescenza programmata, che siano riparabili e anche fatti di componenti alla fine facilmente riciclabili. In un prossimo mi soffermerò in particolare su quei rifiuti che comperiamo in gran quantità facendo la spesa o andando al bar o al ristorante: gli imballaggi e i contenitori di cibo, bevande, cosmetici, vestiti, ecc.

La seconda azione, conseguente alla prima è il Riutilizzo. Riutilizzare significa che qualcosa che potrebbe diventare un rifiuto, destinato per bene che vada al riciclaggio, viene invece ancora impiegato nella sua destinazione d’uso.

La terza azione, ovvero il Riciclaggio, è sostenuta da un’altra pratica che inizia con R ovvero la Raccolta differenziata. Riciclare significa utilizzare la materia di cui sono fatti i rifiuti per produrre, dopo passaggi industriali, oggetti simili o di tutt’altro genere (ad esempio un maglione di pile da bottiglie di plastica). Si pensa che fare raccolta differenziata sia sufficiente a mettersi la coscienza a posto. In realtà non è così per una serie di motivi. Un raccolta qualitativamente scarsa (ovvero con imballaggi sporchi o non conferiti correttamente) fa finire tutto quanto ai trattamenti numero 4 e numero 5. La plastica è difficilmente riciclabile tanto che la quantità di plastica effettivamente riciclata è davvero bassa e spesso finisce per essere bruciata in modo improprio finire in fiumi e mari, anche come micro-plastica. I dati stupiranno: la plastica raccolta in modo differenziato in Italia è il 42% e di essa solo il 39% è riciclata, ovvero appena il 16% della plastica prodotta. Dovremmo insomma parlare di plastiche perché la categoria è chimicamente così eterogenea da porre problemi di riciclaggio non ancora risolti. L’unica caratteristica comune è di derivare dal petrolio ma sarebbe come in biologia non differenziare i vertebrati solo perché derivano da progenitori comuni. Infine dal punto di vista energetico riciclare è meno conveniente che riutilizzare.

Tutto quello che non si è potuto riutilizzare o riciclare va trattato secondo quanto prescrive il punto 4, ovvero Recuperare energia con i termovalorizzatori. In parte quindi servono ma solo in misura tale da non permettere di bypassare le fasi precedenti. E’ chiaro che bruciare i rifiuti è in teoria la scelta più comoda. Si fa un bell’impianto e tutto “sparisce” lì dentro. Ovviamente in realtà dato che la materia non si crea e non di distrugge una tonnellata di rifiuti si trasforma in equivalenti quantità di fumi tossici da trattare e di ceneri sempre tossiche.

Infine l’ultima ratio: la discarica per conferirvi i rifiuti Residui dalle precedenti azioni.. Alcuni decenni fa, diamo fino agli anni 70, era l’unica modalità. Un bel buco, spesso fatto senza i dovuti criteri di sicurezza ambientale e sanitaria e il problema era risolto. I rifiuti nelle vecchie discariche producevano percolati tossici che mettevano a rischio le falde acquifere e biogas estremamente infiammabile ed esplosivo come purtroppo ha constatato sulla sua pelle un cittadino residente nei pressi della discarica di San Giacomo di Masserano nel 1995 ucciso proprio da una fuga di biogas. Entro 10 anni dovranno essere non più del 10% i rifiuti che finiranno in discarica. Gran parte dei 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti dell’UE dovranno quindi essere trattati secondo riutilizzo, riciclaggio, recupero energetico. In un prossimo articolo vedremo con esempi concreti come i cittadini, i Comuni, le aziende che si occupano di rifiuti, gli industriali, il mondo del commercio, lo Stato, potrebbero mettere in campo un’azione sinergica per applicare correttamente la gerarchia europea relativamente proprio alle azioni più trascurate ovvero le prime due.