Vicini al collasso – La situazione, mondiale e italiana, è gravissima, 

– con le guerre che continuano a imperversare in più parti del mondo (in Ucraina ed in Palestina quelle più vicine a noi – dove c’è il rischio che si giunga ad usare anche armi atomiche -), 

– con la crisi climatica,   che colpisce in maniera ormai quasi irreversibile l’ambiente, senza che si mettano in campo misure efficaci per arginarla,

– con personaggi molto pericolosi – Trump e Putin – al governo di 2 grandi potenze come gli Stati Uniti e la Russia,

– con il successo di fascismi, vecchi e nuovi – magari con nomi diversi -, in vari paesi d’Europa,

– con il venir meno della speranza in un futuro diverso,

 

Le difficoltà dei movimenti e delle esperienze solidali – I movimenti che cercano di contrastare tutto questo sono sempre più minoritari ed anche se riescono in qualche caso ad acquistare visibilità (come, recentemente, con le iniziative per la pace del 26 ottobre in diverse città italiane) non incidono minimamente sulle politiche istituzionali  – il nostro Paese continua a mandare armi all’Ucraina,  lo stato di Israele prosegue il massacro della popolazione palestinese di Gaza senza trovare alcun ostacolo, i produttori e commercianti di armi sviluppano indisturbati i loro affari -.

Il problema della difficoltà dei movimenti e delle esperienze solidali a misurarsi con chi la politica la fa per professione e con le istituzioni, in cui  si compiono le scelte relative agli armamenti, alla pace ed alla guerra, viene da lontano.

Per non andare troppo indietro nel tempo, ricordo che al Social Forum Europeo del 2002 a Firenze, in uno dei tanti affollatissimi incontri che lo animarono, Pietro Ingrao pose  la necessità urgente di affrontarlo  perché soltanto così le imponenti manifestazioni per pace che si stavano sviluppando in tutto il mondo  (sul “New York Times” il movimento per la pace fu definito la “seconda potenza mondiale”) avrebbero prodotto davvero dei risultati positivi. Così purtroppo non fu, la guerra all’Iraq, contro la quale si erano mobilitati milioni di persone, scoppiò, il movimento defluì rapidamente.

 

I Social Forum e la politica istituzionale – Le analisi, le proposte, i progetti che erano scaturiti dal Social Forum non furono in nessun modo raccolti dalla politica (il sostegno che le istituzioni avevano dato perché potesse svolgersi era stato puramente logistico, ma sul piano dei contenuti non si era avuta “contaminazione” alcuna – politica istituzionale e movimenti continuarono ad andare avanti su piani completamente separati -).

Oggi, di fronte ad una situazione ancora più grave, si registra un clima più ampio di indifferenza e la parte attiva che si mobilita contro la guerra ha, prevalentemente, una profonda sfiducia nella politica istituzionale.

Verrebbe voglia, da un lato, di recuperare il tema centrale di una composizione giovanile di Gramsci (“Odio gli indifferenti”), ma va considerato, dall’altro, che di fronte ad un atteggiamento così ampio e diffuso occorre esaminare attentamente i modi di esprimersi e di comunicare di chi si impegna per la pace.

 

Destra e sinistra di fronte alla guerra – Certo, c’è ancora, su questo tema centrale, una divisione fra destra e sinistra, ma si tratta di una divisione che poi viene sottoposta ad una serie di “se” e di “ma” (quando il NO ALLA GUERRA deve essere “senza se e senza ma”), che finiscono per fare assomigliare alla destra quella che costituisce la parte più consistente della sinistra, e cioè il PD, o, meglio, la sua maggioranza (il PD si considera, e viene considerato, di sinistra, anche se certe sue affermazioni, alcune sue votazioni al Parlamento Europeo, i comportamenti di suoi personaggi di spicco –   cito, come esempio, Minniti e Violante – farebbero pensare tutt’altro).

 

L’importanza di “restare umani” – Allora, prima di tutto, sarebbe necessario ripartire da alcune affermazioni semplici e ampiamente comprensibili, come, ad esempio, il “restiamo umani” pronunciato da Vittorio Arrigoni poco prima di venire ucciso in Palestina.

“Restare umani” in luoghi in cui si uccide la popolazione civile, comprese decine di migliaia di bambini/e, come avviene a Gaza ad opera di Israele, può sembrare impossibile.

Ciò che avviene ogni giorno porta ad alimentare l’odio ed il desiderio di vendetta, con tutte le caratteristiche “disumane” che caratterizzano tali atteggiamenti.

Se si vuole fermare tale catena, però, è proprio da lì che occorre partire.

Recuperare un senso di umanità è il presupposto in cui si possono ritrovare persone che, magari, danno giudizi diversi su Hamas, gli Hezbollah,  i Palestinesi, Israele (e le potenze occidentali – Stati Uniti ed Europa – che continuano ad appoggiarlo, inviandogli armi).

 

Le prospettive se e quando si saranno messe a tacere le armi – Dopo, tenuto fermo questo principio, si potrà discutere delle prospettive che si aprono facendo tacere le armi.

Restare umani significa, in primo luogo, rifiutare qualsiasi complicità con chi, come il Governo israeliano, manifesta ogni giorno la propria “disumanità”, trasformando la reazione ad un attacco terroristico di Hamas in una rappresaglia senza fine che ha come vittima la popolazione civile di Gaza (ed ora anche del Libano).

E vuol dire anche recuperare obiettivi, che al momento appaiono pura utopia, come quelli contenuti nel progetto “Costituente della Terra”, lanciato da Luigi Ferrajoli e da altri/e qualche tempo fa.

 

La necessità dell’utopia – Occorre qui sottolineare la necessità dell’utopia come un elemento assolutamente necessario per riuscire ad andare avanti e non rassegnarsi a subire la situazione esistente.

Come sostiene Eduardo Galeano, l’utopia è l’orizzonte che non raggiungeremo mai, ma che serve a “farci camminare”, a lottare cioè per un futuro diverso.

 

La “Costituente della Terra” – Dar vita ad una “Costituente della Terra” significa giungere ad un governo costituzionale mondiale in grado di porre fine alle controversie fra gli Stati – che spesso conducono a conflitti armati – e far convergere tutte le energie per cercare soluzioni rispetto ad alcuni punti essenziali per la sopravvivenza della vita umana sul pianeta, primo fra tutti quello  che ci pone di fronte alla crisi climatico/ambientale. 

Sicuramente chi governa oggi gli Stati più potenti non va in questa direzione, anzi si colloca sul fronte dei “negazionisti” (vedi Trump), dei “petrolieri” che sabotano il passaggio dalle energie fossili a quelle naturali,  o, nel migliore dei casi, degli “indifferenti”.

 

Una mobilitazione dal basso – Per questo urge che molteplici energie, dal basso, si mettano insieme per cercare di far cambiare  rotta a chi conduce la politica istituzionale (perché quella utopia è l’unico percorso che può salvare l’umanità).

Le realtà sociali, sindacali, di movimento, tutte quelle che si muovono sul terreno dell’impegno solidale, dovrebbero porsi, accanto alle loro normali attività, questo obiettivo prioritario.

La situazione è talmente grave che la mobilitazione dovrebbe svilupparsi attraverso gruppi, collettivi, comitati che si formano a livello di base – nei paesi, nei villaggi, nei quartieri – con il compito di agire nei confronti delle istituzioni, ma anche di organizzarsi di fronte ai problemi derivanti dalla crisi climatico-ambientale( che si porranno sempre di più  e che incideranno sulla vita di ogni giorno). Si tratterà, quindi, di condurre delle lotte, ma anche di cambiare, restituendo senso e valore alla parola “comunità”,  i propri comportamenti (a partire da quelli che riguardano la mobilità – per far prevalere  finalmente quella che usa mezzi collettivi rispetto all’uso individuale dell’auto -). 

 

Il NO ALLA GUERRA premessa indispensabile – Il NO ALLA GUERRA, in conclusione, non è soltanto un NO dettato, giustamente, da considerazioni etiche e morali, ma è anche una premessa indispensabile per riuscire a  far convergere tutte le energie possibili sui problemi che minacciano la sopravvivenza dell’umanità.

Restare umani, quindi, rifiutando la “disumanità” degli atti di terrorismo e dei conflitti armati (e impegnandosi per “un altro mondo possibile – e sempre più necessario -, come si affermava al tempo dei Social Forum), costituisce, quindi, una priorità assoluta, se intendiamo cercare di dare un futuro alla vita sul pianeta, sempre più sull’orlo di un collasso totale.

 

Le politiche di contrasto alla crisi climatico/ambientale – E’ da questo punto fermo che occorre partire per sviluppare un confronto fra le diverse politiche da adottare per contrastare la crisi climatico/ambientale (avendo chiaro che il tempo utile per un deciso cambiamento di rotta si sta riducendo sempre di più – e forse, come dimostrano i disastri che stanno  avvenendo in varie parti del mondo, sta già scadendo ed urge attrezzarsi per far fronte a problematiche inedite, che comportano cambiamenti profondi e radicali nella vita quotidiana di ognuno/a di noi -).

 

Agire collettivo, beni comuni, prevalere del pubblico sul privato – Il mercato, la libera impresa, l’individualismo dominante non sono in grado di andare in questa direzione.

Per farlo è necessario recuperare il senso dell’agire collettivo, dell’importanza dei beni comuni, del prevalere del pubblico rispetto al privato: in altre parole si deve ricominciare a  pensare ad una società diversa, riproponendo la prospettiva del socialismo.

Prima che sia troppo tardi.