Si è svolto presso La Collina Storta un evento promosso dalle associazioni Tutti per la Terra e Roma Zen Center dedicato alla Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, un’occasione unica per riunire voci e testimonianze da varie parti del mondo, in nome della pace e della consapevolezza.

L’evento, che ha visto la partecipazione di numerosi ospiti e un pubblico attento, ha offerto momenti di riflessione e condivisione attraverso racconti e testimonianze trasmessi online sul canale YouTube del Roma Zen Center e interventi dal vivo. A simboleggiare l’impegno per la pace, è stato piantato un ulivo, gesto carico di speranza e significato.

Tra gli ospiti presenti, Giuseppe Miccoli dell’associazione Il Piccolo Principe – Yoga Armonia ha condiviso spunti sulla Marcia Mondiale e sulle difficoltà nel panorama cittadino. Alice Baglini di Baobab Experience ha portato una testimonianza toccante sull’importanza della solidarietà e dell’accoglienza. Marco Inglessis, membro dell’equipe base della Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, ha invece offerto un quadro del movimento globale e delle sue iniziative.

Paola Russo e Arianna Petrocchi hanno proposto “Pillole di conoscenza pratica e teorica”, offrendo strumenti per favorire consapevolezza, benessere ed empatia. Hanno esplorato temi legati all’uso di linguaggi inclusivi e nonviolenti, come la Comunicazione Nonviolenta (CNV).

L’incontro si è concluso con una riflessione di Chiara Di Stefano su mudita e meditazione condividendo la sua esperienza raccontata in un testo poetico e profondo:

” Il muro bianco. Ecco quel muro bianco che per me è guerra e pace. Io che mi chiedo sempre se si possa vivere nella pace o se il mio muro, spesso, sia solo devoto alla guerra. Muditā: la gioia empatia, la gioia per lo stare bene degli altri. Una cosa che non è poi così rara se non ci fermiamo al regno di noi umani, dove invidia e gelosia, desiderio di supremazia e di appropriazione tagliano lo sguardo.

Quando vediamo qualcosa che sentiamo come bello, spesso stiamo sentendo la gioia di gioia di essere. La gioia del nostro essere nell’altro.

Essere: come l’aprirsi di un fiore ma anche il suo volersi mostrare alla luce del sole: una forma non contenibile di energia e possibilità. Così le foglie che cadono in quel momento in cui si staccano dal ramo: un momento completamente dipendente dalle condizioni esterne, eppure solo quel momento, preparato da giorni di assottigliamento e fragilità, solo quel momento è prontezza al volo, alla morte.

Gli animali stanno tranquilli nel non conosciuto con occhi enigmatici e il mistero scritto sulla pelliccia o sulle piume, come gli alberi, che hanno gesti dettati dal vento e sanno aspettare senza discussioni che le condizioni cambino, forse sono visibili forme di gioia: la gioia di conoscere la via per incontrare il non conosciuto.

In un libro leggevo di Lao Tzu che dice: “Quello che tocchi senza afferrare si chiama sottile”. Probabilmente è cosí che ci si educa a vedere la linea sottile della gioia. Semplicemente non afferrandola e riconoscendola anche dove è grazia dell’abbandono. Allora forse dalla gioia impersonale degli esseri abbandonati alla legge naturale si può passare alla gioia umana, e anziché scattare immediatamente nel giudizio, nell’invidia o nella gelosia, augurare loro semplicemente che duri. Si sa che è effimera, fragile, si sa che è così spesso illusoria, legata all’io, alle sue appropriazioni e affermazioni, ma si sente anche che un essere e che prova gioia si sta abbandonando, sta cedendo. È a quel luogo tenero e delicato che si invia l’augurio: “Che la tua gioia possa durare”.

Questo mi ha insegnato il muro: trasformare la rabbia in gioia e disarmarsi.”