Il 22, 23 novembre scorsi la terza marcia mondiale per la pace e la nonviolenza ha fatto tappa in Piemonte, a Torino e Ivrea.

La marcia, la cui prima edizione si è svolta nel 2009, si prefigge di “creare coscienza, valorizzare le azioni positive, dare voce alle nuove generazioni e alla cultura della nonviolenza”. Attraverso l’organizzazione di varie iniziative, manifestazioni, conferenze, è di stimolo ad approfondire le ragioni della crisi attuale e cercare soluzioni per uscirne.

Ed è quello che mi provo a fare con questo scritto.

La seconda edizione, nel 2020, fu interrotta dalla pandemia; il capitalismo tecnocratico che, intriso della mentalità positivista, si riteneva invincibile, veniva sconvolto da un semplice virus.

Fu uno choc, ma per un momento sembrava anche indurre un positivo ripensamento, facendo prendere coscienza di quali fossero i veri pericoli per la sicurezza, e, soprattutto, rendendo evidente che solo una umanità solidale e cooperante poteva affrontare nemici del genere.

Che le spese sanitarie fossero più importanti di quelle militari è stata una breve speranza.

Appena usciti dalla pandemia, l’invasione criminale dell’Ucraina ci ha riprecipitato nell’incubo della guerra.

Papa Francesco aveva parlato già anni prima di una guerra mondiale a pezzi: diversi conflitti armati, più di 50, erano in corso da tempo, alcuni di questi con centinaia di migliaia di morti.

Con il febbraio 2022 si apriva, per la prima volta dal 1945, un confronto diretto tra le due superpotenze militari, dotate di un arsenale nucleare in grado di distruggere il mondo più volte.

E non c’è alcun dubbio che gli ucraini, che, non scordiamolo mai, hanno ragioni da vendere ad opporsi a quella che, comunque sia stata provocata, è un’aggressione ad un Paese libero ed indipendente, che solo nella concezione geopolitica che vede gli imperi confrontarsi tra loro, può considerarsi come territorio di influenza russo, gli ucraini, dicevo, sono le truppe che combattono per conto dell’Occidente, e del suo Paese guida ed imperiale una guerra per l’egemonia contro la Russia.

Da quel momento i vari pezzi si stanno ricompattando, risucchiando, come un buco nero gravitazionale, tutte le potenze, piccole e grandi, verso lo scontro globale.

Anche il conflitto tra Palestinesi e Israeliani, che va avanti da più di 70 anni, e che ha raggiunto un livello di violenza mai visto, sta rientrando nello scontro globale. Uno scontro che vede l’Occidente contro Resto del mondo; e Israele è l’avamposto dell’Occidente; e questa è la ragione per cui, magari storcendo il naso, a Netanyahu tutto è permesso, anche di procedere ad una vera “pulizia etnica” tramite un massacro che risolva una volta per tutte la questione palestinese, in spregio plateale al diritto internazionale.

L’Europa si sta gettando in una folle corsa agli armamenti che ricorda sinistramente la situazione dei primi del Novecento, mentre la deterrenza, come allora, non funziona più.

Da tutte le parti, in tutti i conflitti, tutti gli attori sembrano credere unicamente alla forza militare.

Le voci di pace vengono isolate, sommerse di improperi, tacciate di “intelligenza con il nemico”, mentre economia, cultura, scienza, persino lo sport, vengono piegate alle necessità della prossima guerra.

In un mondo siffatto, proporre la nonviolenza come stile della politica può apparire estremamente ingenuo, una follia da anime belle.

Certo, oggi una politica nonviolenta è più difficile e più lontana di quanto non lo fosse 14 anni fa, ai tempi della prima marcia, e ben più dell’89, quando con la caduta del muro per opera di più lotte e resistenze nonviolente, sembrava schiudersi un mondo dove la guerra venisse finalmente bandita dalla storia.

Ma proprio oggi risulta più chiaro che mai che ci troviamo di fronte ad una scelta netta: nonviolenza o barbarie, parafrasando la Rosa Luxemburg socialista e pacifista del 1914.

La prosecuzione di una politica basata sulla potenza, sulla forza militare, sulla geopolitica imperiale non può che portare ad una guerra globale di tutti contro tutti, al termine della quale ci sarà l’uso delle armi nucleari. L’ennesimo, sempre più minaccioso scambio di minacce nucleari tra Putin e l’Occidente lo dimostra una volta di più.

Ma in che modo si può intraprendere un cambiamento?

Occorre provare ad elaborare una strategia di passi per invertire la rotta, che possa poi diventare programma politico; denunciare i pericoli, proclamare la necessità della pace, è importante, ma non è sufficiente; le idee possono andare avanti se si individua una alternativa credibile ed i passi per arrivarci. Provo ad individuare a grandi linee questi passi

Il primo è un cessate il fuoco generalizzato, su tutti i fronti. E’ la precondizione per tutti gli altri; non è la pace, men che meno la pace giusta, ma continuando a combattere, a uccidere, a distruggere, si chiudono tutte le vie di trattativa, si favoriscono le pulsioni di vendetta, si rende più difficile qualsiasi soluzione, avviandosi in una continua escalation. Non si devono porre condizioni se non quella di smettere di sparare, a Kiev, a Gaza, ovunque.

Il secondo passo sarà la ricerca di soluzioni diplomatiche che possano realizzare una pace più giusta e concordata che punti a risolvere le ragioni di fondo che hanno portato a questi conflitti.

Difficilissimo da realizzarsi, ma va privilegiata la strada della trattativa, e le trattative si fanno con gli avversari, con quelli che hanno provocato il conflitto, stringendo mani sporche di sangue; lo sforzo va fatto, con la coscienza che ogni compromesso è migliorabile, ma la guerra è sempre la (non)soluzione peggiore.

Il terzo passo, contemporaneo al precedente, è la rivitalizzazione di quegli istituti internazionali, a cominciare dall’ONU, ma anche la CSCE, creati apposta per prevenire il degenerare dei conflitti in guerre.

Quarto: accordi di disarmo generalizzato concordato e verificabile. Il dannato 2022 si era aperto con un appello di premi Nobel, filosofi, politici, uomini e donne di cultura per un taglio delle spese militari generalizzato ed uguale, il 2%: paradossalmente la risposta è stata l’invasione dell’Ucraina, ma va ripreso. E il primo disarmo da riprendere è quello delle armi nucleari. C’è un trattato ONU che le mette al bando, ma si possono trovare passi intermedi, il ripristino dei trattati degli anni’90 (INF, START) oggi stracciati, un accordo sul no first use.

Tutto ciò va accompagnato da una diffusione del metodo della resistenza nonviolenta, della lotta nonviolenta.

L’espansione dell’educazione alla nonviolenza intesa soprattutto come studio analisi, ricerca sui metodi per risolvere i conflitti internazionali e sociali, nel passato nel presente e nel futuro.

Solo in un mondo senza guerre si può pensare di ottenere maggiore libertà, redistribuzione equa delle risorse, rispetto della natura, affrontare il problema dei cambiamenti climatici, superare le discriminazioni, realizzare una maggiore cooperazione nella cultura, nella scienza, nell’economia.

E’ questa una pace giusta, non il disegno di confini, del tutto innaturali, tra Stati sovrani, che in una logica di pace dovrebbero estinguersi, quanto meno ridursi ad entità amministrative

Questo dovrebbe diventare un piano politico per la pace; ma occorre che si formi una vasta coalizione popolare di massa, che può nascere solo mettendo insieme le forze politiche, sociali, religiose coscienti di questo; i persuasi della nonviolenza, per dirla con Capitini, dovrebbero fare da innesco, da lievito di questa coalizione.

La posta in gioco è alta.

La nonviolenza deve diventare lo stile della politica del XXI secolo, l’alternativa è la barbarie, se non l’apocalisse.

Paolo Candelari