Secondo appuntamento su “Economia sostenibile: dinamiche sociali e migratorie”, svoltosi venerdì scorso nella giornata di studi a Palazzo Fortuna di Catania, nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dal Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania, dedicati ad “Economia, Politica e Società: in cammino sulle orme dell’Economia di Francesco”. Un’opportunità offerta agli studenti dal Dipartimento diretto da Roberto Cellini, per ragionare su fenomeni di rilevanza economica che non siano riducibili all’analisi costi-benefici. Ai lavori ha partecipato Mimmo Lucano che ha proposto su scala nazionale l’esperimento di Riace come possibile modello di recupero delle aree interne in stato di abbandono _
Sul tema migratorio, di rilevanza mondiale, abbiamo ormai – ha sottolineato Cellini – numerosi studi scientifici e molti dati disponibili, a tutti i livelli. Dati che ci dicono, tra l’altro, che in Italia “i migranti non sono sufficienti a coprire il saldo negativo della popolazione” e sono ormai una risorsa necessaria anche per la sostenibilità del sistema pensionistico.
Essendo il Comune la prima delle istituzioni che deve fronteggiare il fenomeno migratorio, ormai non più emergenziale ma strutturale, l’incontro era impostato come confronto tra sindaci: il parlamentare europeo, Mimmo Lucano, rieletto a giugno sindaco di Riace, dopo una drammatica vicenda giudiziaria, e il sindaco di Catania Enrico Trantino che si è fatto rappresentare dal suo vice, Paolo La Greca.
Nel suo discorso pieno di citazioni dotte, riferimenti ai modelli di convivenza internazionale, riflessioni abbastanza scontate sulla crescita della popolazione mondiale e sull’impoverimento demografico dell’Italia, nonchè sulla posizione geografica della nostra penisola, “molo aperto su un mare interno”, La Greca ha detto ben poco di concreto su come il Comune di Catania affronti il problema dell’accoglienza. Si è limitato a fornire il numero (267) dei minori non accompagnati presenti nelle locali strutture di accoglienza, a difendere il Comune da eventuali responsabilità relative al “Programma di asilo”, gestito a livello nazionale, e ad esprimere timori per “milioni (!) di profughi” che potrebbero bussare alle nostre porte.
Un approccio molto diverso da quello di Lucano, che ha raccontato la sua esperienza prendendo le mosse dalla “normalità dell’accoglienza, perché aiutare è istintivo e non ha nulla di straordinario”. Quasi a stemperare la risonanza mondiale raggiunta – in modo per lui inaspettato – dal modello Riace, ha raccontato di averne sempre attribuito la responsabilità “al vento che ha spinto fino a noi un veliero portandoci persone che hanno dato speranza e ricevuto speranza”.
In un borgo rurale di braccianti agricoli, costretti ad emigrare dalla povertà e dallo sfruttamento degli agrari e della mafie, è stato infatti l’arrivo di persone che venivano da lontano a “riportare la vita, far riaprire le scuole, fare ripartire le attività artigianali”.
L’immagine dei profughi dello sbarco del 1998 che avanzano lungo la statale ionica 106, come in un esodo biblico, resta indelebile nella memoria di Lucano. Fa ricordare, a lui che si professa laico e lontano dalla Chiesa, di essersi trovato accanto solo il vescovo di Locri, pronto a riaprire – in sintonia con l’invito all’accoglienza di papa Francesco – il convento ormai chiuso di Riace. Perchè il cristianesimo ben si sposa alla ricerca di un mondo più giusto – commenta – “ma non alle ideologie che portano alla disumanità, il capitalismo, il neoliberismo, il razzismo, la narrazione criminale della migrazione ormai diffusa a livello europeo”.
Quando l’accoglienza, che doveva essere limitata a 15 persone, ha riguardato centinaia di migranti, che le stesse autorità preposte, incalzate dalla crescita degli sbarchi, chiedevano a Riace di ricevere, tutto il paese è rifiorito.
“Le case abbandonate sono state riaperte, la prossimità di vicinato ha permesso di conoscersi, di mescolare le lingue, i costumi, i profumi della cucina, anche grazie al clima mite che permette di tenere le porte aperte”.
La voce di Lucano si incrina quando accenna alla sua vicenda giudiziaria, agli attacchi subiti, alla volontà di “un ministro degli Interni” di distruggere quella esperienza e quel modello di convivenza.
Ma il suo discorso non si chiude sul rammarico, apre ad una nuova speranza. Il modello Riace non è morto se, come lui stesso racconta, nel piccolo paese è arrivata di recente una donna migrante che dormiva, con tre bambini piccoli, tra i cartoni della stazione ferroviaria di Padova. A lei un poliziotto ha messo in mano un biglietto del treno e un pezzo di carta con su scritto il nome di Lucano e di Riace, dicendole “Vai qui”.
Ma c’è di più. Lucano apre ad una prospettiva valida per tutto il territorio nazionale e quindi anche per la nostra regione. E’ un invito a prendere in considerazione le aree interne lasciate in stato di abbandono, quelle terre incolte che potrebbero essere utilizzate in progetti di varia natura, dalla zootecnia all’agricoltura biologica, in cui coinvolgere i migranti sulla base di una “nuova riforma agraria” e con piccoli investimenti. “L’accoglienza non va fatta in un luogo separato – ribadisce – bisogna ripartire dalle comunità, dalle persone, si riaprirebbero le scuole, gli asili, le attività economiche. Altro che spendere montagne di soldi per mandare i profughi in Albania….”.
Questa conclusione è anche la risposta alla domanda precisa posta da Cellini ai due amministratori, “cosa possono fare i Comuni per favorire la partecipazione lavorativa degli immigrati?”. Una domanda che – spiega Cellini – si lega al progetto di partenariato esteso, finanziato con fondi del PNRR, a cui l’Università di Catania sta partecipando con il compito di studiare la coesione sociale, mappando, tra l’altro, le iniziative di educazione imprenditoriale dei migranti, utili alla loro integrazione.
Come Lucano ha testimoniato, l’accoglienza genera anche opportunità inaspettate, che bisogna essere preparati a raccogliere.