Trump ha stravinto. E’ chiaro che il problema non è (solo) lui, ma chi lo ha votato, chi la “pensa” come lui, chi non prova ripugnanza per quello che dice, fa ed è. Kamala Harris ha perso. Anche qui il problema non è (solo) lei: inadeguata, tardiva, ipocrita. Ma anche qui, chi si è sentito costretto a votarla senza “pensarla” come lei, o provando ripugnanza (anche) per lei. Per sciogliere la matassa è meglio partire da alcuni dei temi presenti, e soprattutto assenti, da questa campagna elettorale.
La crisi climatica: grande assente dalla campagna, eppure il Paese è stato colpito da due uragani devastanti proprio durante il suo svolgimento. Trump è negazionista: sostiene ed è sostenuto dall’industria dei fossili (anche se il suo principale supporter, o alter ego, è stato il pioniere dell’auto elettrica, della conquista privata dello spazio e del capitalismo di sorveglianza). Abolirà tutto quello che in questo campo ha fatto Biden. Ma le misure promosse da Biden erano una risposta adeguata alla crisi climatica? Davvero si pensa di contenerla con l’auto elettrica (emblema, l’auto privata, di uno stile di vita che fin dal 1992 – Summit di Rio de Janeiro – sappiamo “non negoziabile” per gli Stati Uniti) e con qualche incentivo alle imprese che decarbonizzano? Chi è consapevole della gravità della crisi (molti tra i giovani) li considera dei pannicelli. Chi non lo è li trova costi e disagi inutili. Eppure, di fronte a quegli uragani, nessuno dei due ha fatto proposte né di mitigazione né di adattamento. E cos’altro, se no?
I migranti. Le promesse di Trump le conosciamo bene. Sono analoghe a quelle di Giorgia Meloni: muro e deportazione di massa per lui, blocco navale, caccia agli scafisti in tutto “il globo terracqueo” e rimpatri forzati per lei. Per quanto ciniche e crudeli, queste cose non funzionano, ma piacciono: promettono tranquillità (una propria “zona di interesse”, come quella evocata di recente da un libro e un film) accanto a processi che sconfinano sempre più nello sterminio. Kamala Harris non aveva una proposta sua (ha accennato a “arrestarli tutti”, ma per lo più ha eluso il problema). Ma il muro costruito da Trump Biden non ha fatto che completarlo. In silenzio. E con la promessa di deportare i nuovi arrivati Trump si è conquistato il favore di molti latinos: l’occasione per gli ultimi di diventare penultimi. Come accade in Italia, anche lì il “problema” viene ingigantito o ridimensionato in funzione della risposta su cui si cerca il consenso degli elettori. Ma davvero si pensa di “risolvere” una questione grande quanto la crisi climatica e ambientale, e destinata a crescere con essa, deportando e rimpatriando? O non è solo un modo per eluderla?
Nascondendo i problemi e le loro dimensioni vincono le false soluzioni. Eppure negli Stati Uniti l’”economia” è cresciuta insieme alla popolazione, grazie agli immigrati. In Europa stentano entrambe, a causa dell’inverno demografico, che non ha altra soluzione che l’accoglienza.
L’economia: salari, occupazione, inflazione. Le cose, dal punto di vista dei numeri cari alla “scienza” economica, non stavano andando male, ma la percezione generale diceva il contrario. Perché? Il fatto è che di fronte alle diseguaglianze in continua crescita la gente si percepisce sempre più impotente, e di questo soffre. “Maga”, far tornare grande l’America, magari imponendo a tutto il resto del mondo dei dazi pazzeschi, che poi accresceranno l’inflazione, è una risposta a questa sensazione di impotenza molto più seducente di un aumento del Pil. D’altronde Kamala Harris si è qualificata soprattutto, più che come politica, come raccoglitrice di fondi, esibendo i suoi legami con Wall Street e l’establishment finanziario (e attirandosi l’astio di tutti gli esclusi), mentre Trump, senza muover foglia, si è ritrovato le spalle coperte da tutto o quasi il capitalismo di sorveglianza (il Gafam[1]) che ovviamente sapeva già da che parte tirava il vento.
Guerre. Per molti “americani”, intesi come i cittadini degli Stati Uniti, il resto del mondo quasi non esiste se non per il diritto del loro Paese e del loro esercito di sottometterlo e imporre dei governi “amici”. Per il resto, ora che non combattono più sul campo, quello della guerra è solo un problema economico: si sta spendendo troppo, non per le armi – questo va bene, crea occupazione e ricchezza – ma per darle agli altri. Se le paghino loro! Una cosa che Trump poteva promettere e Harris no. Quanto a Israele, la guerra alla Palestina ha strappato l’elettorato ebraico ai democratici nonostante il loro sostegno armato al genocidio e ha reso furioso nei loro confronti l’elettorato musulmano.
L’aborto. Concentrare su di esso la rivendicazione della libertà delle donne ha significato rinunciare a mettere in campo il ruolo che i temi sollevati dal femminismo, e innanzitutto quello della cura, possono avere nella creazione di relazioni, di comunità, di convivenza…
E da noi? La differenza maggiore è che negli Stati Uniti è aumentata la partecipazione al voto – la gente ha percepito queste elezioni come una sfida – mentre da noi continua a crescere l’astensione. Che siano in campo reali alternative non lo crede più nessuno, ma chiediamoci innanzitutto: Trump è un fascista? Salvini e Meloni sono fascisti? E sono anche razzisti? Sì, nello spirito, negli atti, nelle parole, nelle scelte. E’ inutile continuare a chiedere loro di dichiararsi antifascisti: anche se lo facessero – e non lo fanno – non lo sono. Ma gli elettori di Trump, di Salvini, di Meloni, sono tutti fascisti e razzisti? No. Non tutti, non completamente, non la maggioranza di essi. Sono soprattutto persone attratte dalle false risposte che quelli danno ai grandi problemi che nessuno sa come affrontare; clima e migrazioni, innanzitutto (e da noi, conta anche il fatto che Fratelli d’Italia era l’unico partito a opporsi al Governo Draghi, di cui però ha poi adottato, più di chiunque altro, la fantomatica “agenda”).
E gli elettori del cosiddetto “campo largo” sono tutti “di sinistra”? No, sinistra è una qualifica che non vuol più dire niente, nemmeno “eguaglianza”, come pensava, o sperava, anni fa, Norberto Bobbio. Certo, le diseguaglianze crescenti suscitano invidia e rancore, ma all’eguaglianza come programma sociale non ci pensa più nessuno. Però rinchiudere tutti coloro che vorrebbero opporsi alle diseguaglianze, o anche solo a quelle più scandalose, entro il recinto di una “sinistra” che non ha più alcuna ragion d’essere ha il duplice effetto di farli fuggire – nell’astensione – e di tenere a distanza coloro che da quel recinto preferiscono restare fuori.
Occorre allora impegnarsi ad affrontare alla radice i grandi problemi che entrambe – destra e “sinistra” – eludono: crisi climatica, migranti, guerre, senso di impotenza e diseguaglianze, a partire da quelle di genere. Guardando in faccia la realtà, ci si può rivolgere, con la stessa modestia, agli elettori degli uni e degli altri.
[1] L’acronimo GAFAM, spesso usato in una connotazione negativa, indica nel loro assieme le 5 multinazionali occidentali dell’informazione e della comunicazione: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft.