Da oltre un anno ragazze e ragazzi sono tornati a popolare le piazze e le strade di Roma e d’Italia, solidali con la popolazione di Gaza e con la causa palestinese, a volte però con modalità verticiste e non partecipative, ciascuno chiuso nel recinto della propria organizzazione (Autorganizzati, Fronte della gioventù comunista, Opposizione Studentesca di Alternativa, Rete degli Studenti Medi…) e quindi incapace, a mio parere, di comunicare e soprattutto di aggregare quanti non appartengono ad una cerchia di giovani, per quanto vasta, ancora minoritaria. Le loro forme stantie e rituali infatti non convincono i più.

Al Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma ci troviamo invece di fronte a un fatto nuovo nei contenuti alti e nelle forme democratiche e partecipative, che costituiscono un’esperienza da valorizzare al massimo.

Grazie al cielo oggi inizio le lezioni alle 11,15 e quando termino la lettura del documento che gli studenti e le studentesse hanno trascorso mesi a elaborare sono già sull’autobus diretto a Piramide. Ho i minuti contati, ma posso tentare di arrivare in tempo per incontrare i giovani che da ieri lo occupano.

L’Albertelli conta all’incirca 600 studentesse e studenti, che provengono da tutta Roma e anche dai Comuni limitrofi. Il liceo sorge infatti in uno storico palazzo tra la Basilica di Santa Maria Maggiore e la stazione di Roma Termini, cuore pulsante della capitale, il luogo più facile da raggiungere da ogni angolo di Roma e dintorni.

Busso al portone più volte e alla fine si affaccia un ragazzo del servizio d’ordine.

“Sono un giornalista” dico ingenuamente e quello mi chiude il portone in faccia.

Busso di nuovo: “Sono un maestro di scuola elementare, sono un compagno!”

La porta si riapre.

Inizio a spiegare chi sono, ma il portone resta socchiuso. Chiarisco che Pressenza è un’Agenzia Stampa Internazionale composta di volontari come me. Mostro il mio tesserino che mi è arrivato da Quito, dove Pressenza venne registrata ai tempi del governo Correa, quello, per intenderci, che diede asilo politico ad Assange nella propria Ambasciata di Londra.

Assange il ragazzo del servizio d’ordine lo conosce, sa che esiste un giornalismo assai differente da ciò che spesso gira in Italia. Chiama altri che osservano con attenzione il mio documento.

“Sei il papà di Francesco del Virgilio?”. Finalmente la legittima diffidenza inizia a sciogliersi. “Sai, ci sono giornali che cercano pretesti per metterci in difficoltà e per criminalizzarci e se non li trovano se li inventano di sana pianta”.

Riccardo e Massimo escono dal portone e parliamo a lungo. Dico che ho apprezzato molto lo spessore del loro documento e che vorremmo raccontare la loro storia.

Riccardo frequenta il quinto anno ed è uno dei quattro rappresentanti neoeletti nel Consiglio di Istituto, due per la lista “Effetto domino” e due per la lista Kairos, mentre altre tre liste non hanno eletto rappresentanti.

“Che cosa vi divide?’’ chiedo.

Mi fa capire che si tratta di sfumature; queste elezioni, molto partecipate, sono una delle tante manifestazioni dell’attivismo civico e politico di queste ragazze e di questi ragazzi.  Mi accorgo che per Riccardo la vicenda elettorale è già storia passata e che non è non è certo di questo che vuole parlare.

Mi spiega che la scrittura collettiva e partecipata del loro documento politico è costata mesi di discussione e una ventina di giorni di intenso dibattito, a cui hanno partecipato decine di studentesse e di studenti, che hanno saputo confrontarsi positivamente e alla fine fare sintesi condivise, senza prevaricazioni, cercando il consenso di tutte e di tutti.

“Vedi, il nostro Liceo è sempre stato molto politicizzato, con una forte identità antifascista e di sinistra. Del resto Pilo Albertelli insegnava qui quando venne arrestato, torturato e ucciso alle Fosse Ardeatine.

Lo scorso anno abbiamo deciso di iniziare un percorso di rinnovamento del modo di fare politica e abbiamo innanzitutto trasformato noi stessi e il nostro vecchio collettivo: aveva una lunga storia che non abbiamo rinnegato, ma rinnovato profondamente nei modi di organizzarci e di agire. Non a caso abbiamo voluto chiamarlo Metamorfosi.

Abbiamo tenuto viva la pluridecennale tradizione politica antifascista della nostra scuola rifondandola profondamente nelle modalità di organizzazione e di azione.

Per prima cosa abbiamo voluto aprirci, senza preclusioni, a tutti e a tutte, favorendo un clima relazionale positivo di apertura, confronto e ascolto reciproco. E questo non riguarda soltanto noi studenti, ma tutte le componenti della scuola, a partire dagli insegnanti, che hanno compreso il serio entusiasmo del nostro agire e così abbiamo portato anche loro dalla nostra parte.

Poi dobbiamo dire che quest’anno siamo stati fortunati.  La nostra scuola negli ultimi anni ha attraversato un periodo di crisi, dovuto soprattutto allo scarso impegno, per non dire vero e proprio disinteresse, del precedente Dirigente Scolastico. Il cambio di dirigente ha favorito il nostro percorso.

Il 6 novembre, quando in una partecipatissima assemblea le studentesse e gli studenti hanno approvato l’occupazione, sulla base del documento politico elaborato collettivamente, la preside ha convocato una nostra delegazione, ci ha ascoltato con attenzione e ha letto il nostro documento. Poi ci ha chiesto di documentare le numerose attività che abbiamo intenzione di organizzare, continuando il confronto con gli insegnanti disponibili.

Per lei la scuola è aperta e funziona, svolge il suo compito sociale e istituzionale, anche se in questa forma particolare, che è la nostra occupazione, decisa e gestita nella massima condivisione e partecipazione di tutte le studentesse e di tutti gli studenti.

Mostrando fiducia e rispetto per il nostro entusiasmo costruttivo, si è impegnata a tutelare il nostro diritto a sperimentare forme nuove di studio, di approfondimento e di ricerca, escludendo quindi ogni denuncia, poiché la scuola continuerà a operare, aperta a tutte le sue componenti.

La nostra occupazione si propone di continuare in forme nuove il servizio pubblico, senza ledere il diritto allo studio, che è primario compito istituzionale.

Siamo a pochi passi dal commissariato di polizia e perfino il commissario ci ha garantito che non c’è motivo di procedere a qualsivoglia intervento repressivo.”

A questo punto Riccardo e Massimo mi fanno entrare nella scuola occupata, proprio mentre sta terminando un’affollatissima assemblea di organizzazione e di gestione.  Mi salutano e mi affidano ad altri occupanti, Leila, Giada, Anna e Luca.

“Ma sono nomi di battaglia?” chiedo scherzando. Sì, sono di fantasia e mi chiedono di non fotografarli;  comprensibile, ma è un vero peccato.

Ascolto incantato queste e questi giovanissimi intellettuali, completamente organici alla loro generazione, e penso quanto avremmo da imparare noialtri militanti resi anziani non tanto dagli anni, e neppure dalle innumerevoli sconfitte, ma dai nostri sterili settarismi, personalismi, opportunismi e meschinità, dalla perdita dell’entusiasmo e della passione, tutte cose che ci rendono incapaci di comunicare speranza e quindi di aggregare il popolo, gli sfruttati, in un progetto di liberazione.

Loro invece hanno volti puliti, modi gentili e rispettosi, anche quando mi permetto di rilevare che alcune frasi del loro documento potrebbero essere strumentalmente distorte.

In realtà i loro ragionamenti sono chiari e coerenti con i valori umanitari della nostra Costituzione Repubblicana, ma io li metto in guardia da noi adulti e giornalisti, sempre pronti a giudicare, capaci per mancanza di empatia o per disonestà intellettuale di travisare, condannare e denigrare.

A nome della redazione romana di Pressenza mi metto a loro disposizione, invitandoli a usarla come uno strumento. Spero che nei prossimi giorni lo sappiano fare meglio di ciò che ho provato a fare io con questo articolo.

In fondo è per questo che sono venuto a respirare al Liceo Classico Albertelli una boccata di aria pura.