La fatica, gli stenti, la disumanità incontrati sulla Rotta balcanica per chi è in fuga da altra disumanità, fanno pensare alle più grandi tragedie del Novecento che pensavamo di aver per sempre lasciato alle spalle. Una specie di mondo parallelo inquietante come quello di chi viveva nelle aree confinanti con i campi di concentramento che non vedeva o non voleva vedere. Linea d’Ombra sulla piazza del Mondo a Trieste segna una discontinuità nel difficile cammino dei migranti. Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi fanno della piazza insieme ad altri volontari, un luogo reale e simbolico di cura dove i migranti che vi approdano trovano qualcosa che assomiglia a un benvenuto dopo l’inenarrabile che hanno alle spalle.
Per anni Lorena ha curato piedi massacrati. Il suo gesto ha innescato curiosità, attrazione, imbarazzo. Spesso ci è più familiare la disumanità e l’indifferenza che l’attenzione o l’interesse nei confronti di chi porta visibili i segni di un’ingiustizia subita, che sono ferite, denutrizione, fame, spoliazione, respingimenti che hanno accompagnato i percorsi drammatici delle persone prima di arrivare a Trieste. Le cure prestate sulla piazza, più che a caritatevole commiserazione, richiamano al ripristino di un senso di giustizia e alla potenza evangelica di certi gesti e per questo fortemente evocativi.
Sull’onda di questa attenzione primaria molte sono state – e lo sono tuttora – le forme di sostegno alla Piazza del Mondo in alimenti, scarpe, coperte, farmaci… Il cibo che vi arrivava era spesso portato da singoli individui. La nascita dei Fornelli Resistenti nell’ottobre del 2023 segna una svolta importante nell’organizzazione del sostegno alimentare e non solo, da parte di chi decide di mettersi a disposizione per affrontare il problema del cibo per i migranti che arrivano dalla Rotta balcanica.
Anche a Desenzano, a partire dallo scorso febbraio, si forma un gruppo che entra a far parte della Rete nazionale dei Fornelli Resistenti, coordinata da Mediterranea Saving Humans E.D.T. di Venezia che raggruppa realtà di numerose località, dal Piemonte alla Toscana. Tramite calendarizzazione sulla Rete, necessaria per evitare spiacevoli sovrapposizioni, i singoli Fornelli prenotano la loro presenza in piazza dove arrivano portando tutto il necessario per la cena (piatti, posate, bicchieri, tavolino di appoggio, contenitori termici con cibo che incontri i gusti alimentari delle persone cui è destinato, calcolato dapprima per 100 porzioni circa per arrivare poi a 200).
Così ha inizio, dopo una necessaria autotassazione, il formarsi spontaneo dei gruppetti con compiti diversi: l’acquisto alimenti, il lavoro in team in una cucina professionale che un oratorio ci mette a disposizione, il reperimento donazioni presso vari supermercati, il trasporto e il viaggio a Trieste. Si generano sinergie, contatti, estensione dei rapporti, nuove conoscenze e soprese piacevoli. Aiutarsi per poter aiutare diventa fondamentale. Si sperimenta l’andare oltre la solitudine della propria cucina. La taverna vuota che non si utilizza quasi mai si trasforma in prezioso deposito per coperte, sacchi a pelo e laboratorio di imballaggio.
I Fornelli nascono come iniziativa corale che si arricchisce grazie a gruppi di volontariato locale, a chi offre torte preparate in casa, a chi in diversi modi dà il suo contributo, a chi lancia l’idea di preparare nelle singole cucine qualcosa e poi di unire il tutto. Così per il 2 novembre, serata calendarizzata in piazza, in 6 cucine singole entrano in azione altrettanti fornelli scoppiettanti per una cena destinata a duecento persone, a base di lenticchie al cocco e curry, vari tipi di verdure, patate al forno, basmati e arachidi finali con il chai al cardamomo.
La concretezza insita in pratiche di cura legate all’emergenza dei primi soccorsi ha rappresentato l’aspetto che ci ha convinto di più nel decidere di aderire alla Rete dei Fornelli. Inizialmente la preparazione di un pasto da portare a 300 km di distanza aveva sollevato alcune perplessità. Non si tratta di viaggi brevi e per quanto riguarda il trasporto-cena in effetti non si è riusciti a farlo spesso, ma, quando è successo, l’esperienza dell’incontro con volontari e migranti sulla piazza ha ripagato ogni difficoltà. E’ lì che si ha la misura dell’efficacia e della preziosità di quello che c’è stato prima e che ha permesso di arrivare a quel punto.
E tuttavia, che i Fornelli non si occupino solo di cibo, lo testimonia il fatto che a giugno, a seguito di un primo incontro dei rappresentanti dei Fornelli, è stato sottoscritto dalla Rete un documento e fatto un presidio in cui a fronte dell’imminente chiusura del Silos si richiedeva l’apertura dell’ex Mercato comunale di via Gioia, a lato della stazione ferroviaria. Si tratta di una struttura chiusa, inutilizzata, ritenuta da varie associazioni triestine adatta all’accoglienza di bassa soglia anche per le numerose famiglie di transitanti con bambini piccoli che si fermano una notte e proseguono il viaggio.
Questa richiesta, espressa in modo pressante e rivolta al sindaco e anche ad altri singoli membri dell’amministrazione comunale da tutta la Rete nazionale dei Fornelli con l’invio di una mail bombing, non ha avuto purtroppo alcun esito se non quello di comunicare alle autorità la contrarietà di molte persone nei confronti delle scelte istituzionali locali e non solo. Queste sperano di bloccare gli arrivi esprimendo una lampante avversione nei confronti dei migranti, abbandonandoli per strada o in androni non risparmiati dalla bora, senza alcuna possibilità di accedere a servizi igienici, fatto salvo l’accesso al Centro diurno gestito da un’associazione triestina, fornito di due bagni e con la presenza di mediatori linguistici. Le strutture che potrebbero offrire un’accoglienza dignitosa rimangono chiuse o sono volutamente trascurate.
La chiusura del Silos, struttura terrificante, avvenuta in fretta e furia a giugno per la visita del papa a Trieste, è stata un’operazione puramente estetica, laddove molti invece speravano in una volontà di ricerca di alternative più umane Gli intenti di disumanizzazione sono chiari e in una fase come quella che viviamo dove una parte imponente delle spese sociali va alla guerra, gli effetti disastrosi di questa politica sui più fragili – e i migranti lo sono – è evidente.
E ancora: il nostro Fornello era presente, insieme ad altri di altre città e ad alcune associazioni triestine, al corteo che il 23 giugno dalla piazza ha raggiunto la Prefettura di Trieste con la stessa insistente richiesta di ricerca di alternative dignitose per chi arriva e passa oltre o per chi si trova ad aspettare all’addiaccio anche 50 giorni prima di poter formulare la sua domanda per entrare nel sistema di accoglienza, per non parlare del tempo necessario alla sua accettazione.
A che cosa può portare questo sistema sadico? Utile chiedercelo per scegliere fin da subito pratiche di accoglienza, di conoscenza, di avvicinamento, di accompagnamento.
Sulla piazza del Mondo, la speranza dei migranti che sognano l’Europa incrocia la nostra che sogna, nell’azione, una società più umana, toccata dalla rivoluzione della cura che dal basso organizza forme di resistenza e di disobbedienza nei confronti di chi ci vorrebbe indifferenti, chiusi in casa, timorosi dello straniero, aggrappati ai nostri privilegi.
“Questi profughi parlano di noi, annunciatori di scenari futuri oscuri, ci segnalano verso dove stiamo andando col nostro modello di sviluppo e di scelte economico-politiche scellerate” (Gian Andrea Franchi in La rivoluzione della cura).
La loro sorte ci riguarda, il loro essere deportati in zone di confino (molti di questi finiscono in Sardegna e non solo, in posti remoti e isolati) ci tocca profondamente, così come ci riguardano le strutture di contenimento-confinamento sempre più diffuse (vedi Duccio Facchini in “Chiusi dentro”) insieme alla militarizzazione invasiva.
Nonostante le barriere, le polizie, le politiche respingenti, i migranti arrivano e anche noi con i mezzi che abbiamo, cerchiamo di assicurare un esserci.
All’arrivo in piazza, si sente la presenza accogliente anche di alcuni migranti che già passati per il Silos, ora alloggiati in strutture più decenti, infaticabilmente ogni sera distribuiscono cibo, indumenti. Mediano, dato che conoscono diverse lingue. Ogni sera aiutano i nuovi arrivati o chi da tempo frequenta la piazza, riconoscendosi in quella sofferenza toccata anche a loro. La piazza è cura, contatti, incontri per molti. Punto di riferimento, dalle 7 di sera fin oltre la mezzanotte è un presidio continuo. Mescolarsi ai migranti da parte di chi migrante non è dà consistenza a quella piazza che risulta avere un volto misto di esseri umani che si incontrano andando oltre il senso di una distinzione tra poveretti che vengono assistiti da un lato e volontari di buon cuore dall’altro. Sulla piazza ognuno è straniero per l’altro e per questo c’è qualcosa in comune. E reciprocamente ci si ringrazia per essere stati visti e quindi accolti.
La piazza, per chi arriva portandosi dietro percorsi drammatici, è lo spiraglio di luce prima di un altro buio che è quello dei permessi negati o non rinnovati in modo sfibrante e umiliante, quello delle incognite, delle disillusioni, delle barriere. In quello spiraglio c’è la speranza di chi, profugo, cerca una vita migliore, dove disumanizzazione e cura s’incontrano. La piazza del Mondo ci proietta e ci allena inevitabilmente a cogliere anche altre disumanità e a pensare necessarie delle forme di cura negli ambiti in cui ci troviamo a vivere.
Modi per aiutare:
- cibo cucinato per cena in piazza
- organizzazione di pranzi o cene a Desenzano per sostegno a Linea d’Ombra
- finanziamento diretto o indiretto a favore di LDO che provvede comunque ogni sera a comprare cibo per i nuovi arrivi e anche per gli altri, che spesso va a integrare quello dei Fornelli, data la fame. Sempre tanta.
di Patrizia Londero