Così come c’eravamo impegnati nel precedente articolo su Pressenza.com, abbiamo seguito la conferenza stampa della Rete degli ambulatori popolari panormiti, svoltasi ieri l’altro presso la Camera del Lavoro di Palermo, nel cui salone dei lavoratori si sono dati appuntamento medici specialisti e attivisti dei presidi sanitari autogestiti, con la partecipazione di una nutrita rappresentanza di studenti di medicina del collettivo “Virdimura”, per incontrare i giornalisti della stampa locale.
Ha aperto i lavori Renato Costa, protagonista assieme ad una formidabile équipe sanitaria della campagna vaccinale antiCovid nel capoluogo siciliano. Costa ci ha raccontato di questa straordinaria – se pur drammatica – esperienza, maturata a servizio dell’intera comunità cittadina sperimentando sul campo quel che dovrebbe essere una best practice preventiva – quella della medicina di prossimità – universalmente riconosciuta dalla ricerca più avanzata e dagli istituti internazionali: bisogna portare la medicina fra la gente, nei territori, non arroccarsi soltanto nei santuari delle megastrutture dell’assistenza ex post.
“Andavamo nei mercati popolari a parlare con la gente, ad informarla sulla necessità del vaccino per prevenire il contagio, senza dover intasare le strutture ospedaliere a cui erano destinati i casi più urgenti – racconta Costa della sua pratica al tempo della campagna antiCovid –, mettendo a loro disposizione non solo l’Hub realizzato alla Fiera del Mediterraneo, ma creando presidi vaccinali in ogni spazio possibile, come – ad esempio – al centro sociale autogestito “Anomalia” di Borgo Vecchio dove, con l’aiuto prezioso dei giovani volontari che lo animano, abbiamo somministrato centinaia e centinaia di dosi vaccinali, senza contare il servizio assistenziale domiciliare, grazie al quale i pazienti venivano curati a casa e monitorati costantemente dallo staff sanitario appositamente costituto”.
Pertanto, è anche sulla base di questa esperienza che la Rete degli ambulatori popolari e gratuiti – di cui Costa è presidente – intende raccogliere il filo rosso della società della cura che al tempo del coronavirus era riconosciuta come una necessità ineludibile da tutti reclamata: si riteneva essa fosse ontologicamente fondante di una nuova comunità sociale globale. Il rilancio di tale necessità non è venuto meno con la fine della crisi epidemiologica. Anzi, a maggior ragione è urgente adesso, proprio quando tutti i buoni propositi sulla società della cura sono stati dimenticati, per non dire traditi dall’intero ceto politico, rivendicarne il suo inveramento.
Infatti, passata la fase pandemica, s’è ripresa la solita ultradecennale politica economica di definanziamento del servizio sanitario nazionale – così come unanimemente assentivano i medici convenuti alla Camera del Lavoro – con il varo sistematico di manovre di bilancio improntate, alternativamente sia dal ceto di centrodestra sia da quello di centrosinistra, su un ventaglio di misure articolate soltanto su tagli di spesa.
L’effetto macroscopico, di queste politiche economiche scellerate, è la situazione incancrenita delle lunghissime liste d’attesa che il sistema non riesce più a soddisfare. Ma non soltanto questo. È stato evidenziato l’allarmante fenomeno della “rinuncia alla cura”, dati gli eccessivi costi che sempre più larghe fasce di popolazione non riescono più a sostenere, anche per prestazione sanitarie pur regolate sotto regime sovvenzionato o convenzionato per effetto di ticket insostenibili. Senza contare quelle fasce di popolazione che versano in povertà assoluta e che da anni non effettuano più esami diagnostici o visite specialistiche oppure, ancora peggio, non si recano più dal loro medico di base perché tanto non avrebbero di che pagarsi le medicine prescritte.
A partire da questo quadro politico-sociale, i presidi ambulatoriali popolari che operano in diversi quartieri della città (al Borgo Vecchio, presso il Centro Sociale ‘Anomalia’; allo ZEN, promosso – in collaborazione con Save the Children – dall’associazione ‘Zen Insieme’; a Brancaccio, presso il Centro Padre Nostro; nel Centro storico, presso il Centro sociale ‘ex Karcere”; a Sant’Erasmo, dal CISS presso la Casa della Cooperazione) hanno – in raccordo con La Rete di Medici Volontari che in questi anni non hanno fatto mancare il loro fondamentale apporto all’attività dei presidi ambulatoriali succitati – deciso di costituirsi in soggetto giuridico, formalizzando la registrazione dell’associazione di volontariato sociale che permetterà alla Rete degli ambulatori popolari e gratuiti di cooperare in modo integrato, aprendosi anche alla partecipazione di quanti “desiderano contribuire al benessere della comunità, sia attraverso il volontariato medico, sia con il sostegno di risorse e strumenti”.
La missione dell’associazione reticolare, così come veniva precisato in tutti gli interventi, «è quella di ridurre le disuguaglianze nell’accesso alla salute, offrendo un’alternativa concreta e gratuita alle visite specialistiche e alle consulenze mediche». Quindi un diverso approccio umano e professionale, come uno degli obiettivi metodologici da raggiungere. Infatti, è stato più volte ribadito che l’impegno comune di tutti gli associati è quello di creare nei presidi «un ambiente accogliente, dignitoso e rispettoso per chiunque abbia bisogno di supporto sanitario».
Insomma un progetto importante ed ambizioso, proposto dentro un contesto socio-economico ostile che i promotori conoscono molto bene e che, tuttavia, sono ben determinati a perseguire, affinché si possa facilitare l’accesso universalistico alla sanità per la tutela della salute, ma anche verso un nuovo modello del SSN basato sulla Società della cura. In questo senso, dicono gli associati, «questa rete di ambulatori rappresenta una risorsa essenziale. Lavoriamo per abbattere le barriere economiche e sociali e creare un sistema che metta al centro la salute e la dignità di ogni persona». Ecco perché come Pressenza staremo dalla loro parte.