Il 30 novembre ci sarà una manifestazione nazionale pro-Palestina, e forse sarebbe meglio mettere i puntini sulle i.
1) C’è il pericolo attuale e concreto che Israele tenti un’azione false flag – un attentato contro un luogo simbolico – da poter attribuire alla resistenza palestinese. Questo potrebbe essere facilitato dalle divisioni interne dei movimenti palestinesi, che non riescono a condividere programma e piazza.
Come fare?
Sicuramente parlare pubblicamente di questa evenienza aiuta a ridurre il rischio, rompe le uova nel paniere. Inoltre, gli organizzatori della manifestazione farebbero bene a istituire un servizio d’ordine e di osservazione che cerchi di impedire provocazioni ed incidenti.
Nelle scorse ci abbiamo provato, ma eravamo quattro gatti : sarebbe bene “istituzionalizzare” l’iniziativa.
2) Esiste un fronte interno di ebrei consapevoli e contrari al genocidio: sono pochi ma ci sono. Alla manifestazione del 12 ottobre erano presenti come blocco. Il loro è il lavoro più duro, perché la loro testimonianza etica non è compresa e sono visti come traditori dai loro correligionari. Andrebbero coinvolti nel dialogo e sostenuti, perché dimostrano che anche nel buio più totale c’è speranza. Inoltre, la loro presenza taglia le gambe alle accuse di antisemitismo. Noi cattolici, in particolare, dovremmo sostenere il loro sforzo.
Attenzione, sull’antisemitismo dovremmo discutere con senso della prospettiva. CERTO che criticare Israele non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo; CERTO che il termine è abusato e culturalmente appropriato, visto che semiti sono anche gli arabi; CERTO che nessun militante consapevole è stato sfiorato mai da nessun pensiero antisemita nel senso di religione ebraica, MA – a fronte dei crimini gravissimi, dello spregio del diritto internazionale e della doppia morale – è innegabile che stia montando un certo fastidio. Se Israele non si ferma, questo fastidio aumenterà e non sappiamo dove può portare.
3) Va affrontato in modo chiaro il problema delle psy-ops.
Le assemblee sarebbero un buon momento per fare almeno un poco di formazione.
Il caso della ragazza iraniana che gira in intimo per Teheran è emblematico: nonostante fin da subito si sia capito che fosse un fake – nel senso che era un filmato totalmente decontestualizzato ed usato ad arte – la molla del “femminismo” è scattata subito, ampiamente veicolata dai media e dai social.
Va detto chiaramente che queste operazioni hanno nome e cognome, sia nella loro origine, sia nella diffusione a livello nazionale: NON sono fatti ingenui o innocenti. Questa forse serviva solo per testare il polso dell’opinione pubblica dopo l’enorme fake di Mahsa Amini ed ha avuto un buon risultato visto che ha fatto più scalpore che le bombe sganciate su tante donne palestinesi, libanesi e siriane.
Attenzione: il prossimo tentativo di destabilizzazione sarà probabilmente in Iran, e probabilmente attraverso una rivoluzione colorata che partirà dalle donne. Cerchiamo di discuterne in modo da non arrivare completamente impreparati e rispondere pavlovianamente a qualunque (posticcia) parola d’ordine.
4) Infine, il tasto dolente. Sarebbe bella una piazza unitaria, ma non è anodina la posizione sul 7 ottobre di alcuni movimenti (ad esempio l’unione giovani palestinesi). Il popolo palestinese ha certamente diritto a resistere all’oppressione israeliana, ma questo diritto comprende il massacro di civili? Se lo si accetta, si accetta anche il diritto di Israele a fare lo stesso, e si limita la questione ad un problema di proporzionalità (al momento siamo 1 a 60): personalmente io credo che si debba mettere l’accento sulla differenza QUALITATIVA, oltre che quantitativa, nella risposta israeliana e nella sua continua e grave violazione del diritto internazionale. Si può contestualizzare quanto si vuole e ricordare che la resistenza non è mai un pranzo di gala, ma molte persone che simpatizzano con la causa palestinese NON simpatizzano con l’azione del 7 ottobre e NON verrebbero ad una manifestazione che partisse da quel presupposto.