Il viaggio italiano di Eszter Koranyi e Rana Salman, co-direttrici dell’organizzazione pacifista Combattenti per la Pace è proseguito a Torino dopo le tappe Milanesi di venerdì e sabato mattina.

Eszter e Rana, introdotte da Daniela Bezzi, hanno parlato ad un pubblico di duecento persone presso il CAM Cultures and Mission di Via Cialdini 4; l’eccezionale presenza di pubblico ha costretto gli organizzatori ad allestire altre due stanze in streaming per consentire a tutti di seguire l’evento anche al di fuori della capienza della sala principale.

L’evento è stato organizzato del Centro Studi Sereno Regis con l’adesione dell’Ass.ne Culturale Volere La Luna, Coordinamento A.Gi.Te. e M.I.R.

All’inizio dell’incontro, Ludovica Cioria, vice presidente del Consiglio Comunale, ha portato i saluti del Comune di Torino sottolineando l’importanza di momenti come questo per costruire un’altra via attraverso la conoscenza reciproca per non abbandonarsi alla rabbia ed alla vendetta.

Daniela Bezzi racconta come, nel novembre del 2023, è entrata in contatto con Combatants for Peace grazie all’intervista di Ilaria Olimpico riportata da Pressenza e di come si sia progressivamente impegnata prima nello sbobinamento dell’intervista, poi nella stesura del libro omonimo pubblicato da Mutimage fino a curare il viaggio in Italia di Eszter e Rana; successivamente stimola le due co-direttrici a raccontare la loro storia.

Rana Salman, al suo primo intervento in Italia, ha raccontato la sua storia personale ed il percorso che l’ha portata a diventare co-direttrice di Combatants for Peace.

Nasce a Gerusalemme, ma vive a Betlemme con tutte le difficoltà che porta vivere in un territorio occupato con limitazioni nei movimenti e nell’accesso ai beni di prima necessità: acqua, cure mediche, lavoro. Si vive sotto un’occupazione militare, quindi non esiste libertà, è una sfida continua per la giustizia ed i diritti umani.

“Quando sono nata”, continua Rana, “la situazione era differente: mio padre lavorava a Gerusalemme e potevamo andare a Tiberiade nei fine settimana. La situazione è peggiorata dopo gli accordi di Oslo nel 1993; nascono nuove strutture, muri, checkpoint e limitazioni nella vita quotidiana, improvvisamente avevo bisogno di un permesso per andare nel luogo dove ero nata.

Nonostante fossimo così vicini, non avevo mai incontrato un israeliano; nel 2013 ho partecipato ad un programma educativo internazionale in Croazia, una missione all’aperto rivolta a donne leader israeliane e palestinesi; lo feci perché volevo uscire dalla mia zona di confort e mi interessava conoscere donne dell’altra parte del muro. Pensavo fosse un’attività competitiva, una gara tra noi e loro, ma non si trattava di una competizione, dovevamo collaborare insieme per superare le difficoltà della foresta. In quei dieci giorni abbiamo esplorato le nostre difficoltà e le nostre paure e compreso la nostra reciproca umanità. Ad un certo punto mi trovai in grande difficoltà durante un’escursione e fui aiutata dalla mia collega israeliana che mi prestò le sue scarpe più comode e dividemmo il contenuto del mio pesante zaino.

Quell’esperienza è stata fondamentale per me perché mi ha fatto capire come poteva essere la vita in una comunità coesa e solidale. Successivamente ho lavorato nel campo del turismo alternativo a Betlemme per consentire ai turisti di incontrare le gente di Betlemme e sentire le loro storie oltre a vedere le pietre; in questo contesto sono entrata in contatto con i Combatants for Peace e mi sono sentita molto ispirata ascoltando le storie degli ex combattenti e dal loro coraggio. Mi hanno dato la fiducia che un’altra via era possibile. Oggi mi trovo ad essere co-direttrice di Combatants for Peace insieme ad  Eszter e lavoriamo insieme per far finire l’occupazione israeliana e raggiungere una soluzione di pace per la nostra terra con giustizia, sicurezza e pari dignità”.

Anche Eszter Koranyi ha raccontato il percorso speculare che l’ha portata a Combatants for Peace[1]

Quello che traspare dai due racconti è la bolla in cui le due comunità vivono, non conoscendo praticamente nulla dei propri vicini, a parte quello che la retorica di guerra racconta nei fronti avversi; il desiderio di pace e di conoscenza del “nemico” è un processo che accomuna le migliori aspirazioni di entrambe le parti, facendo cambiare prospettiva anche a chi, in un primo tempo, ha difeso con le armi le proprie ragioni.

Perché non c’è una soluzione militare al conflitto, né gli ebrei né i palestinesi lasceranno la loro terra e l’unica soluzione possibile è trovare delle forme di convivenza e di relazione paritarie.

Se questo è stato possibile all’interno di Combatants for Peace, può avvenire anche tra le comunità allargate, in un processo molto complesso, ma possibile; questa è la speranza che l’incontro ha lasciato ai presenti, una speranza che può andare lontano.

L’incontro si è concluso con un reading a cura di Monica Molinari e degli attori e attrici del Teatro Cor’Occhio

[1] Per i dettagli vedere Estzer Koranyi dei Combattenti per la Pace: “Se non ti attivi per la pace ti sei già rassegnato alla guerra”