Il governo Meloni, con il silenzioso avallo di gran parte del panorama politico, ha messo in atto un piano di riarmo che ridefinisce le priorità strategiche dell’Italia. Il governo ha scelto la strada dell’investimento massiccio nell’industria bellica. Tre passaggi cruciali ne delineano il percorso, con impegni di spesa miliardari.
1. Novembre 2024: 7,5 miliardi per il caccia Tempest (GCAP)
Il programma GCAP prevede lo sviluppo del caccia di sesta generazione Tempest. Nonostante i costi stratosferici – si parla di 7,5 miliardi fino al 2050, senza contare l’acquisto degli aerei – il Parlamento ha approvato il progetto con il voto favorevole del PD. Una scelta che lega l’Italia per decenni a spese enormi, sottraendo risorse potenzialmente destinate a istruzione, sanità e transizione ecologica.
2. Settembre 2024: altri 7 miliardi per 25 caccia F-35
L’Italia, che già prevedeva l’acquisto di 90 caccia F-35, ha deciso di aggiungerne altri 25, portando il totale a 115. Con un costo stimato di 7 miliardi, questo investimento include aggiornamenti e supporto logistico fino al 2035. Gli F-35, simbolo della cooperazione militare con gli Stati Uniti, si sono trasformati in un’icona della nuova visione bellica proiettata fino all’Indopacifico.
3. Luglio 2024: 7,4 miliardi per 24 Eurofighter
Progettato originariamente come caccia intercettore europeo, l’Eurofighter è stato adattato per missioni di bombardamento. Il nuovo ordine per 24 velivoli, destinato a rafforzare l’Aeronautica Militare, comporta un esborso di oltre 7 miliardi. Si rafforza così il legame con il complesso militare-industriale europeo, a scapito di investimenti strategici in settori civili.
Un futuro armato e blindato
Con un totale di oltre 22 miliardi di euro investiti in pochi mesi, il piano di riarmo è una chiara dimostrazione della volontà di consolidare la presenza italiana nei teatri bellici globali. Non è un caso che si parli sempre meno di pace e cooperazione internazionale, mentre si rafforza un sistema economico dipendente dalla produzione di armi. Il rischio è che, dietro la “felpata marcia” del riarmo, l’Italia perda di vista il suo ruolo storico come ponte di dialogo tra i popoli.
Questa traiettoria solleva domande cruciali: quale prezzo umano e sociale comporta l’abbraccio del complesso militare-industriale? E soprattutto, quale visione del futuro stiamo costruendo per le nuove generazioni?
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