Riceviamo e pubblichiamo, dalla newsletter ‘NUOVI LAVORI’ (https://nuovi-lavori.it/index.php/newsletter-nl/ , questo articolo di Franco Patrignani (cooperante in Brasile, dal 2009 vi si trasferisce. Dal 2021 è presidente dell’Associazione Colabore Italia-Brasile)
Il Brasile e le guerre
Mi si chiedono notizie su come sia vissuta qui (in Brasile ndr) la situazione delle guerre in atto e della pace. La domanda è semplice e la risposta potrebbe esserlo ancor di più: se ne parla pochissimo. Ma questa risposta, che mi pesa anche se la capisco, induce ad altre riflessioni un po’ più complesse.
1 – L’atteggiamento che registro tra la gente che conosco, credo che sia lo stesso che si poteva registrare tra gli italiani e gli europei, nei confronti delle guerre lontane. Il meccanismo è lo stesso: sono guerre di altri, che scoppiano per motivi che conosciamo poco o non conosciamo, sulle quali evitiamo di dare giudizi.
2 – Quando si leggono i giornali, se si è colpiti dai titoli, si da uno guardo ai sottotitoli cercando di decifrare qualcosa. E forse ci si fa un’idea su come si stanno ridefinendo le posizioni sullo scacchiere internazionale.
3 – E c’è chi si accosta al problema con un atteggiamento ideologico: i giganti del capitalismo e dell’anticapitalismo (come se esistesse ancora) che si combattono in terra d’altri, per motivi di approvvigionamento di risorse vecchie e nuove.
E ci sono anche quelli che seguono queste vicende drammatiche, con un atteggiamento tra il laico e il cinico: “Guarda che disastri! Quanta gente muore!” e quindi “Non c’è niente da fare, l’uomo è sempre più lupo del suo simile”.
Di fatto questi sono gli atteggiamenti più comuni che troviamo qui, nei confronti delle due guerre in corso.
Per gli europei sono vicine, vicinissime, tanto da provocare panico tra la gente e da far riflettere sulla grande bellezza della pace: 80 anni dalla fine della guerra armata e quasi 40 dalla fine della guerra fredda, che rischiano di andare in fumo, in un vortice di irresponsabilità dei contendenti e di ignavia chi li arma e riarma.
Per i Brasiliani queste esperienze non fanno parte della loro storia recente.
È un vanto, che ogni tanto riemerge, quello di poter raccontare che nel 1944, il Brasile ha mandato una divisione di 25.000 uomini a combattere in Italia a fianco delle forze alleate, contro le truppe di occupazione nazista. Ma in Italia, appunto. E il suo contributo è stato comunque di quasi 500 morti e di 2.700 feriti.
Per il resto, il Gigante ha vissuto una guerra intestina, durante il periodo della dittatura militare. Ovviamente senza rischi di utilizzazione di armi nucleari.
Una cosa che va presa in considerazione è il ruolo della stampa e della televisione.
All’inizio c’era stata una copertura piuttosto puntuale della guerra in Ucraina. Successivamente, le diverse emittenti, sostanzialmente tutte private, hanno mantenuto una copertura solo degli eventi principali mostrando i disastri provocati dai bombardamenti russi.
A poco a poco, i servizi si sono diradati, rendendoli sempre più di cronaca quasi ordinaria.
Da un anno, con l’azione terrorista di Hamas contro Israele, gli obiettivi si sono spostati principalmente sul Medio Oriente.
Le cronache e i commenti, ancora oggi, partono da quel nefasto 7 di ottobre e dalle interviste ai parenti delle vittime o degli ostaggi ancora sequestrati.
Seguono, quindi, anche gli aggiornamenti sulle diverse azioni militari di Israele, ma sempre presentate come risposta all’azione terroristica di Hamas o di Hezbollah.
Nei giorni scorsi, per trovare una cronaca, una di numero, che parlasse dell’oltraggio politico e militare che il governo Netanyahu ha perpetrato nei confronti delle Nazioni Unite, dall’intervento all’Assemblea generale, all’impedimento della visita del Segretario Generale Guterres, fino al gravissimo attacco nei confronti delle truppe internazionali di peacekeeping, ho dovuto spulciare pagina per pagina delle maggiori testate nazionali.
È vero che anche in Brasile vivono diverse famiglie israeliane, ma la loro comunità non è così potente da condizionare l’orientamento dell’opinione pubblica.
È proprio una vocazione autogena di una stampa di potere, abituata a non doversi confrontare con nessun tipo di opinioni diverse.
Altro elemento da segnalare è che qui non c’è, non esiste la cultura dei dibattiti televisivi che permetterebbero di ascoltare punti di vista diversi e farsi quindi un’idea propria.
Con questi livelli di informazione, di acculturazione al disinteresse, il quadro è tutt’altro che fertile.
Tuttavia, è bene ricordare che è sempre opportuno parlare dei Brasili.
Infatti, alcune fasce di popolazione hanno opportunità proprie di informazione attraverso circuiti informativi più o meno alternativi o contatti internazionali.
In questa fascia, le notizie circolano e le opinioni riescono ad essere più articolate. Tuttavia, anche in questa area, può prevalere un manicheismo anti USA che rischia di semplificare ogni analisi.
In generale, purtroppo, l’Europa e il suo modello democratico e di convivenza pacifica è ormai svalutato e non rappresenta una alternativa interessante e credibile.
A nessuno sfugge, credo che siamo nel pieno di un cambiamento di epoca. Siamo in una fase di rimescolamento dei poteri.
Quindi, o l’Europa si muove subito, oppure non solo gli europei, ma il mondo intero, perdono l’unica opportunità oggi praticabile di costruire un cammino di dialogo e di pace.
PS: ricorro al post scriptum per evitare di essere considerato molto Lulista, ma devo dire che ogni volta che il Presidente Lula prende la parola su questi temi manifesta una chiarezza di lettura indiscutibile nell’analizzare la situazione dei conflitti in atto.
Altrettanta chiarezza usa nell’assegnare le responsabilità e nell’indicare la necessità della cessazione immediata dei combattimenti e di prendere iniziative concrete per stabilire la pace. Ascoltando i sui discorsi, sembra sentire riecheggiare gli appelli di Papa Francesco e anche di intravvedere un sostegno, reciproco, per le iniziative di pace in corso.