La decisione dell’amministrazione Biden di fornire e permettere al governo ucraino di usare missili a lungo raggio per colpire la Russia è stata interpretata in vari modi. La spiegazione più diffusa tra gli analisti è che si tratta di una strategia per ostacolare Trump nella sua intenzione dichiarata di porre fine alla guerra.
Ma c’è almeno un altro aspetto da considerare. Questa decisione arriva dopo una telefonata tra Scholz e Putin, che, in un certo senso, segna una divisione tra le aspirazioni di mediazione di alcuni settori della società europea e il controllo geopolitico esercitato da Washington. Per gli Stati Uniti è essenziale che, nel caso in cui la guerra venisse congelata, siano loro a guidare i negoziati e a trarre vantaggio dagli accordi, relegando l’Europa a un ruolo marginale.
In un articolo del 21 febbraio 2022 abbiamo scritto che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (vedi chi oggi fornisce a Kiev i missili a lungo raggio!) stavano provocando una guerra in Ucraina contro la Russia. Uno degli obbiettivi era fermare e impedire la collaborazione tra Europa e Russia. George Friedman, politologo, analista e consulente del governo, affermava: “Per gli Stati Uniti la paura principale è il capitale e la tecnologia della Germania, insieme alle risorse naturali e alla manodopera russa. E’ l’unica combinazione che per secoli ha spaventato a morte gli Stati Uniti”.
Nello stesso articolo leggiamo che il primo obbiettivo degli Stati Uniti è bloccare il Nord Stream 2, cosa che è puntualmente accaduta. Questo ha avuto conseguenze devastanti per l’Europa, non solo per le popolazioni, ma con l’aumento dei costi energetici anche per l’industria, in particolare quella automobilistica, che ha visto erosa la sua competitività a livello mondiale.
In sintesi: gli Stati Uniti vogliono un alleato debole e frammentato. Un’Europa che sfrutti appieno il proprio potenziale economico, politico e culturale, affermandosi come una regione autonoma sullo scenario globale, rappresenterebbe un ostacolo alla loro politica egemonica.
CONSEGUENZE DELLA GUERRA
Mentre l’Europa è imprigionata nelle sue contraddizioni, la Russia, nonostante le difficoltà imposte dalle sanzioni, sembra aver mantenuto una certa resilienza interna e ha trovato nuovi sbocchi economici, in particolare rafforzando i rapporti con la Cina e altri paesi emergenti.
La Germania, la “locomotiva d’Europa”, è in recessione e costretta ad elezioni anticipate e la sua crisi rischia di trascinare con sé il resto del continente.
L’altro motore storico dell’Unione, la Francia, in una profonda crisi politica, vede perdere il suo potere in Africa, dove è aumentato il commercio e l’influenza della Cina e della Russia. Diversi paesi africani – vedi l’Alleanza di Sahel – cercano di liberarsi dall’asfissiante egemonia francese. La Francia di Macron vede nel perdurare della guerra in Ucraina una possibilità di indebolire la Russia e rimane allineata alla contraddittoria e inefficace politica anglosassone.
La crisi in Europa non è solo economica, ma anche sociale, morale e politica. Diversi paesi come l’Ungheria e la Slovacchia si sono schierati contro le decisioni di Bruxelles, creando una frattura destinata a crescere.
Si è celebrata con entusiasmo la decisione della Corte penale internazionale contro Putin, ma si è rimasti ammutoliti di fronte alla sentenza che condanna i crimini contro l’umanità del governo israeliano. I cittadini “avvertono” queste grandi contraddizioni e hanno perso fiducia nel sistema, disertando le urne o votando partiti di estrema destra che promettono facili soluzioni. Le fratture non si limitano al rapporto tra la popolazione e i suoi leader, ma si insinuano profondamente anche all’interno degli stessi centri di potere.
Non sembra che l’Europa, sotto la pressione popolare e dei settori più progressisti, possa nel breve periodo cambiare rotta e trasformarsi in una Europa per la Pace… Non si vedono uomini politici all’altezza della situazione e il malcontento della gente non trova ancora un’espressione chiara, coerente e convergente.
Quello che è sicuro è che la situazione a livello globale è instabile e il futuro immediato incerto. Non c’è un vero regista; al contrario, sembra che gli eventi sfuggano a ogni controllo. Tutto si destruttura, come un grande e maestoso palazzo che, costruito su palafitte, crolla inesorabilmente. Un sistema che si fonda sulla competizione, sulla ideologia che “il mio benessere si oppone al tuo”, che una collettività può crescere solo a scapito di un’altra, che tutto si risolve solo con la violenza, il controllo e la repressione, non può che prima o poi crollare.
Fortunatamente crollano le istituzioni, le economie, gli stati, ma non l’essere umano. Le ideologie si sgretolano e l’essere umano cresce, e troverà sempre una via d’uscita anche dalle situazioni più difficili.