Sino ad oggi non si vede all’orizzonte la fine delle operazioni militari nell’ennesima sanguinosissima guerra Israelopalestinese iniziata il 7 ottobre 2023. Bombardamenti terroristici, distruzioni di ogni infrastruttura civile, genocidio di civili sono diventati la quotidianità nelle terre martoriate della Palestina, non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania e da diverse settimane pure in Libano. Non contenti degli assassini mirati dei dirigenti di Hamas, del Fronte Popolare e di Hezebolla l’esercito israeliano continua nella sua criminale politica di distruzione sistematica della società palestinese e libanese. La messa al bando dell’organizzazione dell’ONU per i rifugiati palestinesi, l’attacco sistematico alle posizioni ONU in Libano descrivono in modo inequivocabile qual’è il progetto Sionista: imporre, violando qualsiasi diritto internazionale, calpestando ogni etica, lo status quo conquistato con le armi.

Dalla parte palestinese assistiamo alla radicalizzazione delle posizioni più oltranziste e scioviniste. Il riaccendersi in modo violentissimo del conflitto armato guidato dalle milizie di Hamas dopo il 7 ottobre 2023 ha fatto emergere le posizioni oltranziste, da un lato viziate dall’integralismo religioso e dall’altro dal neo sciovinismo panarabo. Il movimento dei “giovani palestinesi” afferma in modo esplicito che oggi è fuorviante per il movimento in sostegno del popolo palestinese parlare di una ipotetica prospettiva di una Palestina “Rossa”. Anzi, proprio una Palestina “Rossa” e socialista oggi non può essere messa all’ordine del giorno, poiché dopo il 7 ottobre del 2023 è iniziata la “rivoluzione” ed è stato esplicitamente indicato quale è il paradigma attuale: la decolonizzazione totale, con la conseguente cacciata di ogni colonizzatore ebraico dal fiume al mare.

Con la messa all’ordine del giorno della cacciata del colonizzatore ebraico non ci può più essere nessuna collaborazione, nessun contatto con i cittadini di Israele, tutti colpevoli di far parte del popolo colonizzatore. E’ chiaro che questa componente politica del movimento palestinese sta innalzando un muro invalicabile fra palestinesi e israeliani (oltre che fra musulmani ed ebrei), che di fatto genera un fortissimo impedimento all’unità fra le genti diverse di quella martoriata terra. Una funzione di questo muro è di rendere impossibile l’unità contro i fautori dell’odio e della guerra e contro gli sfruttatori capitalisti di ambedue i popoli. Conseguentemente l’unità degli oppressi contro le proprie borghesie dominanti e sanguinarie non viene minimamente presa in considerazione, anzi viene platealmente scartata. Non vengono in nessun modo considerate le componenti della società israeliana che si oppongono al governo ultrareazionario e ultrasionista di Netanyahu, all’apartheid, alla guerra e che si rifiutano di imbracciare le armi contro i fratelli palestinesi. Dal panorama politico è stata cancellata l’ipotesi di creare una Palestina democratica (possibilmente socialista), laica, multietnica e multireligiosa, libera dallo sfruttamento capitalista e dall’oppressione religiosa. L’unica ipotesi presa in considerazione è la prospettiva di creare uno Stato arabo nazionalmente puro nelle terre dell’antica Palestina, con la cacciata di tutti i “coloni” che si sono insediati in quelle terre da più di un secolo, per edificare una Palestina ripulita dal fiume al mare.

Questa visione sciovinista, nazionalista e islamista è strettamente speculare al progetto sionista di fondazione dello Stato di Israele – basato sul mito secondo cui Israele è stato costruito su “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Il padre del sionismo politico, Theodor Herzl, scrisse: “Se voglio sostituire un nuovo edificio a uno vecchio, devo demolire prima di costruire”. Anche in questo caso, l’insinuazione era che i palestinesi e qualsiasi segno della loro esistenza sulla terra e del loro legame con essa sarebbero stati inevitabilmente cancellati dallo stato ebraico. 

I geografi israeliani elaborando la mappa della Palestina, hanno basato il loro lavoro sull’idea che i palestinesi “non sono un popolo”, ed erano convinti del loro incontrovertibile diritto alla “terra ancestrale” e quindi hanno rimappato la Palestina in modo da cancellare completamente ogni prova della presenza indigena palestinese.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha consentito ai politici sionisti israeliani di chiamare i palestinesi “animali umani”. La destra sionista al governo di Israele ha chiesto a gran voce che i palestinesi “vadano via” da Gaza e si stabiliscano altrove. La guerra del macellaio Netanyahu a Gaza è la copertura per le violenze sistematiche e l’ininterrotta espansione dei coloni targati stella di Davide. Evidentemente, l’ideologia coloniale della cancellazione è viva e vegeta ancora oggi. Questa ideologia di cancellazione spesso motiva gli sforzi per distruggere materialmente tutti i pilastri della vita e dell’esistenza dei palestinesi.

A Gaza, oltre al genocidio di più di 44000 palestinesi (fra i morti non si calcolano le migliaia di palestinesi dispersi), abbiamo assistito alla criminale volontà di  cancellare le fondamenta della civiltà palestinese con la distruzione di tutte le istituzioni. Già dall’inizio delle ostilità vengono prese deliberatamente di mira dai bombardamenti israeliani le scuole, le università, i luoghi di culto e gli ospedali,  L’esercito israeliano ha deliberatamente distrutto anche i siti archeologici con l’intento evidente di annientare il millenario patrimonio culturale (qualcosa di speculare alle criminali devastazioni dei siti archeologici operate negli anni scorsi dall’ISIS in Iraq e in Siria).  La guerra di Israele contro Gaza appare proprio come uno sforzo per rendere impossibile ai palestinesi di mantenere la loro esistenza nella Striscia. Quello che accade a Gaza è stato già visto in Cisgiordania con le forze israeliane, che oltre alla  metodica distruzione delle case palestinesi e l’espulsione degli abitanti, operano il barbaro sradicamento degli ulivi, attaccando così un’importante fonte di reddito e cancellando un fondamentale simbolo della resilienza palestinese. Si tratta di un tentativo di privare i palestinesi della cultura che costituisce la spina dorsale del loro diritto alla terra. 

Israele è senza ombra di dubbio uno stato canaglia che in modo razzista e banditesco si appropria delle proprietà palestinesi e cerca di distruggere l’identità di quel popolo. 

La concentrazione del potere economico nelle mani della macchina capitalista sionista ha permeato tutta la società israeliana, costruendo un regime di apartheid e di super sfruttamento, dove i lavoratori palestinesi sono la parte più debole. Il colonialismo israeliano non è solo un agente di oppressione razziale ma soprattutto un nemico di classe. I lavoratori palestinesi continuano a resistere al duro sfruttamento in molti modi, tra cui la sindacalizzazione, lo sciopero, la protesta e la resistenza all’occupazione israeliana. Non dovrebbe sorprendere che le varie rivolte palestinesi nel corso degli anni siano state alimentate dalla classe operaia palestinese, I lavoratori palestinesi sono in prima linea nella lotta per la liberazione. Sembrano perfettamente consapevoli del fatto che il nemico principale è lo stato sionista capitalista, e che è questo che va abbattuto.

Al progetto sionista viene contrapposto un progetto nazional/islamista che è il rovescio della medaglia. Le posizioni dei “giovani palestinesi”, che vanno di pari passo con quelle  di Hamas, sono condizionate dal paradigma ideologico di annientare lo stato di Israele e sostituirlo con uno stato islamico arabo. Uno stato etnicamente ripulito. In questo modo viene annientata qualsiasi ipotesi di una collaborazione con le componenti ebraiche antisioniste e di classe che mirano alla costruzione di uno spazio unico dove possano vivere palestinesi ed ebrei israeliani. Viene cancellata la visione che le lobby ebraiche e arabe hanno tutto l’interesse ad arricchirsi nello scontro fra popoli e che non hanno interesse a cercare una reale via d’uscita dal conflitto.

Ogni pratica e teoria viziata dal razzismo, dal nazionalismo e dal fanatismo religioso è congeniale alle logiche di sopraffazione delle classi dominanti sia ebraiche che arabe. L’unità dei popoli del medio Oriente, l’unità degli sfruttati contro le rispettive borghesie guerrafondaie affamate di ricchezze, l’unità contro i contrapposti fanatismi religiosi, la prospettiva di una terra laica, democratica, multi etnica, multi religiosa, può rappresentare la sola via d’uscita e la chiave per realizzare la pace e un Mondo Nuovo in Medio Oriente.