Il 4 novembre si celebra in Italia il Giorno dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, una ricorrenza che ci ricorda quanto, purtroppo, le guerre abbiano segnato le vite di innumerevoli giovani in tutto il mondo. Ma in questo 4 novembre è giusto volgere lo sguardo a chi sceglie di non imbracciare le armi, a chi rifiuta la guerra con la diserzione e la resistenza civile. È il momento di ascoltare e sostenere chi, sui fronti contrapposti di Russia e Ucraina, non intende alimentare la spirale di sangue che continua a crescere.
Ucraina, renitenti a quota 800 mila
Le stime sono chiare: in Ucraina, 800.000 persone sono renitenti alla leva e circa 170.000 hanno disertato da quando il conflitto è iniziato. In Russia, decine di migliaia di persone scelgono di fuggire, sostenute da reti organizzate, come il movimento Idite Lesom (“Get Lost”), e trovano rifugio in paesi vicini come il Kazakistan, dove non è richiesto loro un passaporto. Tuttavia, mentre molti paesi occidentali accolgono i disertori russi in quanto “strappati al fronte nemico”, il medesimo riconoscimento non viene riservato a chi, dall’Ucraina, fugge con la stessa determinazione a non combattere.
Dal 18 maggio, infatti, il Consolato Generale d’Ucraina a Milano ha sospeso i servizi, inclusi i rinnovi del passaporto, per i cittadini maschi tra i 18 e i 60 anni che non aggiornano i propri dati nell’elenco degli arruolabili. Di conseguenza, chi si sottrae alla chiamata alle armi per motivazioni etiche o politiche rischia di perdere i documenti necessari per vivere e lavorare, e si espone al rischio di rimpatrio forzato.
In Russia come in Ucraina, l’opposizione alla guerra non è più un’idea isolata, ma una spinta crescente. Queste voci di diserzione e renitenza rifiutano di alimentare il fuoco di una guerra che sempre più appare una lotta per interessi contrapposti, una partita per il potere in cui il sangue versato è sempre quello dei giovani. Da entrambe le parti, queste persone ci ricordano quanto sia cruciale difendere la propria coscienza contro la logica della guerra, una logica che vuole l’escalation come unica risposta possibile.
Guerra in Ucraina: ecco come dilaga la diserzione
Una situazione di caos
Il numero di soldati ucraini che lasciano le proprie unità cresce vertiginosamente. Secondo Volodymyr Boiko, giornalista e membro della 101a brigata, i disertori sono già più di 150.000 e potrebbero raggiungere le 200.000 unità entro dicembre 2024. Boiko descrive una situazione di caos: “I crimini contro l’ordine del servizio militare non vengono indagati, i disertori non sono ricercati […] il problema si è accumulato per 2 anni e mezzo e ora la situazione ha raggiunto un vicolo cieco.” Boiko sostiene che il governo abbia scelto di reclutare cittadini per strada per sopperire alle assenze, ma anche questi nuovi mobilitati, una volta raggiunte le unità, spesso tornano a casa senza conseguenze.
“Combattiamo per la libertà?”
Un ulteriore segnale di questa crisi viene riportato dal giornale El País, che descrive la disperazione di molti soldati. “E se la guerra durasse cinque anni? E ho iniziato a piangere. Non voglio passare altri tre anni in guerra. Sono esausto”, ha confessato il soldato Babii in un post sui social. Anche un ufficiale, che ha abbandonato la propria brigata, racconta: “Vai nell’esercito per combattere per la libertà e quello che scopri è che sei privato della libertà per un periodo di tempo indefinito; non sai quando finirà.” Queste testimonianze mostrano il logoramento emotivo e l’incertezza che il conflitto sta imponendo ai militari.
L’assistenza legale ai disertori
La recente approvazione della legge n. 11322 da parte della Verkhovna Rada – che esonera dalla responsabilità penale i soldati che abbandonano il fronte per la prima volta, purché ritornino volontariamente in servizio – è sintomo della difficoltà di gestire un numero così elevato di disertori. Questa norma ha già portato a decisioni senza precedenti: un tribunale nella regione di Dnipropetrovsk ha permesso a un soldato, che aveva abbandonato la sua unità nel dicembre 2023, di evitare la prigione e continuare il servizio in un’altra unità, con l’approvazione del nuovo comandante.
A questa situazione si affianca la formazione di una rete di assistenza legale per i disertori, segno di una resistenza diffusa e organizzata che cerca di sottrarsi alla logica della guerra. Un avvocato militare ha spiegato che molti comandanti preferiscono non riportare i disertori per “evitare problemi o per cameratismo”, confermando come l’abbandono del servizio sia ormai una realtà accettata da molti anche ai vertici.
Mentre si moltiplicano gli appelli per un cessate il fuoco, questa ondata di diserzioni e di proteste silenziose rivela un malcontento crescente tra i soldati e invita a riflettere sulla necessità di soluzioni pacifiche per porre fine al conflitto.