La Fondazione Libellula ha chiesto ai giovani cos’è la violenza. Lo ha chiesto a quei giovani che, si ripete sempre, sono il futuro ma risentono ancora dell’educazione e della cultura degli adulti nella loro vita. Giovani che arrivano sempre più frequentemente alla ribalta della cronaca nera. E il primo dato che emerge da questa inchiesta colpisce particolarmente: “Per il 25% degli e delle adolescenti è comprensibile perdere la testa dopo un tradimento e reagire con violenza”.
Il sondaggio, confluito nell’eBook: “Senza Confine. Le relazioni e la violenza tra adolescenti”, ha coinvolto 1.592 ragazzi tra i 14 e i 19 anni e ha dato risultati sconfortanti, lo ripetono anche il direttore generale di Fondazione Libellula, Giuseppe di Rienzo, e la responsabile della comunicazione, Flavia Brevi. “Senza confini” sono le parole chiave che emergono dallo studio realizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale – Aidp, Mindwork e Università Cattolica del Sacro Cuore. Per 1 adolescente su 5 non è violenza toccare o baciare qualcuno senza consenso, come non lo è, per più del 33%, geolocalizzare il partner o imporgli restrizioni sul vestiario. Il 40% ritiene normale controllare di nascosto il cellulare e chiedere le password dei profili social. I dati sono più preoccupanti comparando le risposte delle femmine e dei maschi: un rapporto sessuale non consensuale è classificabile come violenza dal 98% delle ragazze, ma solo dall’86% dei ragazzi. La diffusione di immagini o video intimi, il revenge porn, è colpa di chi la subisce per un terzo dei giovani, ma osservando le risposte si nota che è così per il 19% delle ragazze e ben il 40% dei ragazzi. Il consenso rimane quindi un concetto poco compreso, tant’è che per il 33% degli adolescenti un “no” femminile in realtà è un “sì” celato. Anche in questo caso lo affermano il 18% delle femmine e il 38% dei maschi.
“Questi dati, si legge nel report, riflettono una percezione distorta della violenza di genere e del consenso per una buona parte di adolescenti. Il fatto che il 20-25% di loro non consideri comportamenti come il toccare, baciare o rivelare dettagli intimi senza consenso come violenza è preoccupante, poiché sono chiaramente atti invasivi e non rispettosi dell’integrità personale. Questi dati sono ripetitori della cosiddetta “rape culture”, una pseudocultura che minimizza gli effetti dello stupro arrivando perfino a colpevolizzare le vittime, abbracciando l’idea che l’uomo sia strutturalmente un predatore e la donna una preda sessuale.” La “rape culture” appare intimamente collegata al “victim blaming”: nei casi di violenza sessuale, la donna che sporge denuncia da vittima diventa oggetto di indagine per l’abbigliamento indossato quando è successo il fatto, la strada percorsa, l’orario di uscita, il numero di partner sessuali avuti, tutte domande che trasferiscono sulla donna la responsabilità di quanto accaduto. La cultura dello stupro non riguarda solo i e le più giovani. Basta leggere alcuni dati dell’indagine ISTAT “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza” (2018/2023): https://www.istat.it/it/files/2023/11/STAT_TODAY_Stereotipi.pdf.
Le molestie non si concretizzano solo negli atti, partono dalle parole, dal linguaggio che si usa abitualmente. Poco meno della metà, 43%, delle giovani intervistate hanno ricevuto commenti espliciti sul proprio corpo, così come un quinto dei ragazzi. La metà della popolazione tra i 14 e i 19 anni ha visto o sentito racconti di chi è vittima di violenze, nella maggior parte dei casi fisiche, 62%, verbali, 59%, e psicologiche, 55%. Nella metà dei casi l’autore è il partner o un ex. Numeri avvilenti, che devono però essere un punto di partenza per operare un cambiamento, proprio a partire dalle giovani generazioni. Nelle scuole, nei centri di aggregazione e sportivi, la comunità educante deve insegnare anche a conoscere e gestire le proprie emozioni, a relazionarsi nel rispetto dell’altro e riconoscendolo come pari, al di là del genere o del sesso.
“Al momento in cui scriviamo, ottobre 2024, si legge nelle conclusioni del report, l’Italia è tra i 7 Paesi del’UE a non avere obbligatoria l’educazione sessuale e affettiva a scuola, insieme a Polonia, Lituania, Ungheria, Romania, Bulgaria e Cipro. In Svezia l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole è stata inserita nel 1955, in Germania nel 1969; in Danimarca, Finlandia e Austria nel 1970, mentre in Francia nel 1998. Sottolinea l’Unesco che il diritto all’educazione affettiva e sessuale è un diritto alla salute e il presupposto imprescindibile per la realizzazione di un pieno rispetto dei diritti umani e per l’uguaglianza di genere, che sono tra gli obiettivi dell’Onu per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Infatti, l’educazione sessuo-affettiva comprende la conoscenza anatomica del corpo, affronta e approfondisce il tema del consenso, dell’educazione all’intimità, all’orientamento sessuale e all’identità di genere.”
Qui per scaricare l’eBook: https://www.fondazionelibellula.com/it/ebook.html.