Il Tour delle co-direttrici di “Combatants for Peace”, l’israelo-ungherese Eszter Koranyi e la palestinese di Betlemme Rana Salman è giunto nel pomeriggio di lunedì 18 novembre a Roma, per partecipare ad un incontro organizzato da Luisa Morgantini, di AssopacePalestina, e da Daniela Bezzi, giornalista della redazione italiana di Pressenza e curatrice del libro “Combattenti per la pace. Palestinesi e Israeliani insieme per la liberazione collettiva” (Multimage edizioni).

L’incontro si è tenuto nello Spin Time Labs, che si trova in una palazzina nei pressi della Stazione Termini, ex sede dell’ex Inpdap, l’Istituto Nazionale di Previdenza degli statali, ente ora inglobato dall’Inps, una intera palazzina abbandonata da anni, dopo lo scioglimento dell’Ente, e occupata nel 2013 da Action a scopo abitativo, sociale e culturale.

Il caso ha voluto che la tappa romana delle intrepide combattenti nonviolente Israelo-Palestinesi abbia avuto luogo in una strada dal nome evocativo: Via Santa Croce di Gerusalemme, strada che porta alla omologa Basilica Cristiana, una delle più importanti di Roma, dove, secondo la leggenda, si custodiscono frammenti della Croce del Cristo, che Santa Elena, madre dell’Imperatore Costantino, avrebbe fatto giungere a Roma nel 325 d. C. da Gerusalemme, insieme a terreno della Città Santa, che venne posto alle fondamenta della Basilica.

Edificata a partire dal IV secolo dopo Cristo, la Basilica fu nei secoli più volte ampliata e ristrutturata (gli ultimi lavori significativi vennero conclusi nel 1758).e secondo la tradizione visitarla equivale a fare un pellegrinaggio a Gerusalemme.

Spin Time Labs è una sorta di Centro Sociale occupato e si definisce Bene Comune, salvato alla speculazione edilizia dei palazzinari, cantiere di rigenerazione umana, centro culturale polivalente con sala concerti, sala concerti, sala conferenze, corsi di teatro, osteria, laboratorio di birra artigianale, falegnameria e laboratori vari tra cui uno di street art.
La palazzina di Spin Time è inoltre abitata da 450 persone, tra cui 98 minori, in emergenza abitativa, appartenenti a circa 150 famiglie alcune romane ed altre  originarie di ogni parte del mondo.

Alla storia di Spin Time Labs è legato un significativo episodio allorché nel maggio del 2019 il Cardinale polacco ed elemosiniere papale  Konrad Krajewski  si calò nel pozzetto e, nonostante i sigilli posti da Areti, riattaccò i cavi dell’energia elettrica tagliati per una morosità di oltre 300 mila euro poiché “l’incolumità delle persone viene prima di qualsiasi regolamento o norma” come ebbe a dire monsignor Paolo Lojudice vescovo di Roma per il Settore Sud della Diocesi.

Insomma, al di là del numero non elevatissimo dei partecipanti, circa un centinaio di persone o poco più, è stata sicuramente, quella di lunedì sera, una tappa profondamente simbolica, specie nel momento in cui il Ddl 1660 sta criminalizzando ogni forma, anche nonviolenta, di protesta sociale.

Luisa Morgantini introduce il dibattito insieme a Daniela Bezzi: i “Combatants for Peace”, palestinesi e israeliani, i cui fondatori, al tempo della seconda intifada, furono inizialmente ex soldati israeliani ed ex miliziani della resistenza armata palestinese tutti convertitisi all’azione nonviolenta per ragioni pragmaticamente politiche ancora prima che filosofiche.

I Combatants for Peace, lungi dall’essere un gruppo moderato, sfidano alle fondamenta la legalità dello stato di Israele, che si è sempre di più trasformato in uno Stato ademocratico, etnico, suprematista ebraico-sionista, spogliando via via di di diritti i cittadini arabo palestinesi di religione musulmana o cristiana, considerati cittadini di serie D insieme ad altri cittadini israeliani appartenenti alle altre minoranze come gli armeni, i drusi e i beduini, ai lavoratori migranti non ebrei e anche agli ebrei neri provenienti dall’Etiopia, i falascia.

Ezster e Rana appartengono ormai alla seconda generazione dei Combatants for Peace, i cui fondatori furono l’ex soldato Israeliano Chen Alon e l’ex prigioniero palestinese Sulaiman Katib, la cui storia è rappresentativa della storia del loro gruppo politico culturale israelo-palestinese, un gruppo nonviolento, intransigentemente contrario all’occupazione, all’apartheid, alla guerra e, ovviamente all’attuale genocidio che i Combatants non hanno remore a chiamare in questo modo. Viene presentata la storia di questo gruppo e dei suoi co-fondatori nel docu-film “Disturbing the Peace”  del 2016, che viene proiettato integralmente all’inizio dell’incontro.

E’ la storia di persone appartenenti a popoli nemici a cui avevano insegnato ad odiarsi, che inizialmente si scontrano e poi si incontrano, si conoscono e infine si riconoscono fino a comprendere di essere entrambi espressione di una sola umanità della quale popoli ed individui sono entità differenti, ma non irriducibilmente diverse e necessariamente ostili, quanto piuttosto espressione di ricchezza e quindi di potenziale contaminazione ed arricchimento reciproco.

Allo stesso modo la vita di Ezster, ebrea ungherese, nata a Budapest nel 1983, con quattro nonni sopravvissuti per miracolo alla Shoah, cresciuta con il mito di Israele fino a diventare cittadina israeliana lei stessa, sulla base del privilegio fornito dalla cosiddetta legge del ritorno ha incontrato la giovane palestinese Rana, nata a Gerusalemme e abitante a Betlemme, da sempre sotto occupazione, dove lavora nel campo del turismo responsabile. I suoi nonni furono espulsi nel 1948 da Haifa, loro città natale. Per entrambe gli accordi di Oslo, promossi da statunitensi ed europei, con il dialogo tra Arafat, Peres e Rabin, furono una promessa tradita, e fatta morire da chi come i coloni ebrei e ampi settori della società Israeliana da una parte e movimenti palestinesi contrari ad ogni compromesso dall’altra rifiutarono la pace preferendo ad una pace imperfetta, ma perfettibile, la guerra totale. Così il generale Rabin spietato combattente anti palestinese, convertitosi alla pace, fu ucciso da un fanatico suprematista ebraico di ultra destra, mentre gli attentati kamikaze delle formazioni oltranziste palestinesi sugli autobus delle linee urbane, da un lato, la repressione israeliana e le continue provocazioni dei coloni dall’altro fecero naufragare ogni speranza di pace, portando addirittura ad una maggiore chiusura ed isolamento dei territori palestinesi grazie al muro divisorio e agli umilianti check point, giustificati per prevenire gli attentati terroristici.

Così il primo incontro di Rana con donne israeliane avvenne grazie al progetto di una Ong in Croazia, in incontri tenuti a migliaia di distanza tra donne palestinesi e israeliane che nella loro terra divisa e da tutti rivendicata vivono a pochi chilometri di distanza.

Superare le reciproche paure, superare l’odio inculcato e o giustificato dalle tragedie della Storia, conoscersi, diventare co-responsabili della comune collettiva liberazione.
Studiare il punto di vista dell’altro, creare legami, vivere insieme, progettare un cambiamento possibile, operare insieme per difendere le ragazze e i ragazzi che rifiutano la chiamata alle armi, proteggere con i propri corpi, insieme agli internazionalisti giunti da ogni parte del mondo la raccolta delle olive dei contadini palestinesi vessati dai coloni fascistoidi e dall’esercito di occupazione  e da ogni forma di suprematismo nazionalistico di origine etnica e religiosa, mirante a disconoscere l’altro come possibile partner, ma soltanto e unicamente come nemico giurato da sconfiggere ed allontanare da una terra considerata esclusivamente come propria.

Al termine della conferenza a cui partecipano attivamente le ragazze e i ragazzi di Lea, Laboratorio ebraico antirazzista di Roma, i ragazzi e le ragazze de La Comune e a molte altre persone attive a fianco del popolo palestinese, come Andrea Mariano, uomo di “frontiera” essendo attivo membro dell’Anpi del Trullo, di Rifondazione Comunista e del centro sociale Baccelli, medico infettivologo, volontario con medici Senza Frontiere in Africa e ora tra i promotori dei Sanitari per Gaza, che è recentemente salito fino al campo base dell’Everest, ad oltre 5 mila metri, per far sventolare, insieme ai suoi due figli, la bandiera della Palestina Libera.

Ad Ezster senza diplomaticismi chiedo perché un’europea come lei, un’ebrea ungherese abbia sentito il bisogno di lasciare il proprio Paese e diventare israeliana. Sei dunque anche tu sionista?  O ti consideri una migrante che vuole vivere dove il cuore la porta senza sfiorare in negativo i diritti di altri?

Ezster mi risponde: “Come alcuni degli ebrei europei che migrarono a partire dagli anni Venti in Israele sento un legame con questo Paese, ma amo il popolo  palestinese, voglio convivere in pace e ora lotto insieme a loro contro la barbarie del genocidio, dell’occupazione e dell’apartheid perché fino a che i palestinesi non saranno liberi sulla loro terra non lo saremo neppure noi su una terra che sentimentalmente sentiamo anche nostra”.

Chapeau.