Tre sono le trappole nelle quali spesso e volentieri cadono i pacifisti: prendere posizione sui conflitti passati, schierarsi nei conflitti attuali e proporre soluzioni per i conflitti attuali.
Prendere posizione sui conflitti del passato
Esprimere un punto di vista sui conflitti del passato equivale ad accettare di mettere in discussione lo stato delle cose. Tutto ciò che possiamo avere è un’opinione o una sensazione, lungi dall’essere una riflessione, o perfino il suo contrario. Tutte le guerre hanno una genesi molto complessa, di conseguenza, essere chiamati a pronunciarsi su un esito finale senza aver potuto influire sulla sua genesi è un’ingiunzione piuttosto criptica.
Negare la genesi e imporre una lettura monocausale delle guerre fa parte del solito arsenale dell’anti-pacifismo.
Un esempio: poteva sembrare ridicolo parlare ancora di Jena nel 1870, ma oggi non è più ridicolo di voler ricondurre le cause della Seconda guerra mondiale all’accordo di Monaco. Nel migliore dei casi si tratta di ignoranza, nel peggiore di manipolazione, di cui si percepisce l’intento. Per quanto riguarda le origini di questa guerra, anche se includiamo nell’analisi la guerra del 1870, la guerra del 1914, il trattato di Versailles, i trattati di Saint-Germain-en-Laye, Neuilly, Trianon, Sèvres e la crisi economica del 1929, siamo ancora lontani mille miglia dalle reali interrelazioni che l’hanno presieduta, e avremo ancora solo la feccia della genesi che ha portato al disastro.
Schierarsi nei conflitti attuali
Siamo inevitabilmente sempre un po’ influenzati e ostacolati dalla storia delle nostre affinità e convinzioni, ed è spesso per questo motivo che ci schieriamo, a volte anche controvoglia, con una parte o l’altra in un conflitto armato. Tuttavia, questo mette necessariamente in discussione le proprie convinzioni pacifiste.
La prima ragione è molto semplice, razionale, intellettuale e per questo fredda e aspramente discussa: schierarsi con una parte legittima una guerra, che è l’antitesi stessa del pacifismo.
La seconda è molto più profonda e molto più umana. Sì, il pacifismo può avere una posizione: è l’empatia per tutte le vittime innocenti, da qualunque parte provengano. Una profonda empatia per tutte quelle povere persone che si sono trovate prigioniere dei poteri che le hanno rese vittime di questo orrore senza aver mai fatto ciò che era necessario per trovare altre soluzioni. Queste povere persone intrappolate da tutti coloro che non smettono di creare baratri tra i popoli – anche nella stessa comunità, nello stesso Paese – e che non hanno mai speso una sola goccia di energia per cercare di costruire dei ponti.
E queste potenze, tutte quelle che oggi sono in guerra, sono le uniche responsabili di queste guerre. Nessuna di queste potenze può trovare la minima simpatia o sostegno da parte dei pacifisti. Le potenze di tutte le parti in guerra possono essere considerate responsabili, in un momento o nell’altro, della genesi del conflitto.
I pacifisti di uno schieramento non sono pacifisti, ma partigiani.
Proporre delle soluzioni ai conflitti in corso?
Il pacifismo non può trovare la sua migliore espressione a questo livello, ma a monte del problema. Certo, non dobbiamo trascurare tutte le richieste di pace, le manifestazioni di pace e altre azioni in questa direzione, ma tutti conosciamo i loro limiti.
Non è verso l’Ucraina, il Medio Oriente, lo Yemen, la Somalia, l’Etiopia e tutte le attuali zone di guerra che deve dirigersi l’azione pacifista di fondo.
In Europa, l’attenzione è rivolta alla Moldavia e alla Georgia, poiché è lì che è in atto la genesi di due future guerre, o meglio è stata “programmata” da chi fa la guerra: la Russia con le solite intenzioni malcelate e l’Occidente con le sue “facce d’angelo” non fanno altro che aggiungere benzina al fuoco. Sì, i popoli di questi paesi sono divisi, ma sono artificialmente divisi dai sostenitori di entrambe le parti che inventano continuamente nuovi baratri. Tutto è orientato alla divisione, alla competizione e all’odio tra i gruppi. Non si propongono ponti, non si valorizza l’energia collaborativa. I semi della guerra sono in attesa di essere bagnati.
Chi può proporre un’azione pacifista di fondo?
Sono i pacifisti di questi paesi ad avere la soluzione, non quelli di qui che avranno difficoltà a comprendere tutti i livelli di complessità del contesto, né quelli della diaspora che il più delle volte partecipano alla divisione. L’aiuto che il pacifismo può dare loro è quello di valorizzare questi pacifisti locali, di dare loro una voce, un’immagine, risalto alle loro azioni. Purtroppo, la stampa occidentale è interessata solo ai “pacifisti di una parte” e, intrappolata nella logica dei blocchi, continua ad aggiungere sempre più benzina al fuoco: è talmente ammagliata dalla retorica delle potenze che non è in grado di fermarsi un attimo per considerare la vita e il destino delle persone.
Ci sono organi di stampa specializzati come Pressenza.com e siti web del movimento per la pace, ma è tutto qui. C’è ancora molta strada da fare. Spetta al pacifismo cercare queste donne, questi uomini e questi movimenti pacifisti locali e aiutarli a farsi conoscere, ma senza cedere alla tentazione di dire loro cosa fare o come farlo.
Ciò che è giusto in Europa è giusto anche in Africa. Questa volta, ai giochi perversi della Russia e dell’Occidente, possiamo aggiungere la Cina e alcuni Paesi arabi. Spetta alle voci pacifiste dell’Africa sollevarsi e impedire quella che sembra sempre più la genesi di futuri scontri bellici a spese dei popoli africani. Spetta a noi, pacifisti, riconoscerle, trasmetterle e fungere da megafono. Ciò che è giusto qui e là è giusto anche in tutto il mondo, ovunque le potenze dividano i popoli per prepararli allo scontro.
Il pacifismo non ha nulla da dire sui conflitti del passato, se non sperare che si presti un po’ più di attenzione a comprenderne la genesi. Il pacifismo non ha nulla da dire sui conflitti di oggi, se non trasmettere empatia per le persone che vengono massacrate da entrambe le parti. Nei conflitti attuali il pacifismo agisce solo in modo simbolico.
D’altra parte, il pacifismo deve comprendere l’alba dei conflitti futuri e sostenere tutti i pacifisti locali che si impegnano a intervenire nella genesi del conflitto per cambiare il corso degli eventi a beneficio del popolo e non di una sola parte. Dobbiamo parlare di queste persone, diffonderle, farle conoscere, onorarle e renderle autorità rispettate.
Il Conservatorio dell’umanità è un gruppo di virtuosi dallo spirito collaborativo che mira a creare un’orchestra pacifista al servizio dell’umanità. Il Conservatorio dell’umanità non è una società che produce solisti in perenne competizione tra loro, che finiscono per disprezzare gli esseri umani.
Frédérique DAMAI, autore di “No War, 47 jours d’espoir”, Éditions L’Harmattan
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Traduzione dal francese di Maria Sartori.