Il governo Meloni, e di Fratelli d’Italia (il governo degli eredi del Movimento Sociale, che mai hanno rinnegato le loro radici, al punto di candidare nelle loro liste i nipoti del duce), nella loro ideologica riscrittura della Storia nazionale non potevano non riappropriarsi perfino della giornata del 4 Novembre trasformandola in una nuova particolarissima festività, che da quest’anno 2024 viene celebrata, con apposita legge istitutiva, come “Giornata dell’unità nazionale e delle Forze Armate”.

Una “festa non festa” da celebrare soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado per fare la loro solita propaganda nazionalista, patriottarda e militarista.

Viene da ridere al pensiero che il Parlamento che ha varato la nuova legge sia lo stesso che ha approvato la legge della cosiddetta Autonomia Differenziata (che noi sosteniamo essere in realtà l’attuazione del programma della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania).
Una legge che colpisce al cuore l’unità del popolo italiano, la cui fruizione di diritti fondamentali sarà in balia di 20 Regioni-Stato, ciascuna con assai differenti risorse a disposizione, l’attuazione della secessione dei ricchi appunto.

Inoltre in codesta celebrazione delle Forze Armate (al di là di legittime posizioni antimilitariste e pacifiste che mettono in dubbio persino la necessità di mantenere eserciti nel XXI secolo e che propongono soluzioni radicali, sul modello del Costarica, da cui quest’anno è partita la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza), poco o nulla si ha da celebrare di glorioso.

L’esercito italiano, al di là di specifici episodi di interventi durante le calamità naturali, ha una storia orribile e da dimenticare.

Le migliori pagine del Risorgimento Italiano sono state scritte da patrioti volontari soprattutto durante le giornate del 1848 e grazie alla (pur controversa) spedizione dei Mille, volontari, provenienti da innumerevoli Paesi, che portò indubbiamente una ventata rivoluzionaria in Italia, pur se sostanzialmente tradita dai fatti che seguirono.

L’esercito italiano, allora Regio Esercito, da un lato venne utilizzato per la sanguinosissima guerra civile contro i cosiddetti briganti, guerra che non mancò di veri e propri crimini contro le popolazioni meridionali, che lo trasformarono in esercito di occupazione e dall’altro lato arrivò persino ad aprire il fuoco contro i volontari guidati da Garibaldi (fu lui stesso ferito e arrestato) in Aspromonte il 29 agosto 1862.

I volontari garibaldini partiti dalla Sicilia volevano infatti liberare per la seconda volta Roma dal dominio del Papa-Re, il despota Pio IX. Quel giorno l’esercito regio si frappose alla spedizione, lasciò sul terreno 5 poveri bersaglieri, caduti inconsapevoli a difesa del potere temporale del Papa, e ammazzò 7 garibaldini.

Da allora le imprese delle Forze Armate sono un succedersi di lugubri episodi poco edificanti, dall’assurda guerra, conosciuta come Terza Guerra d’Indipendenza, del 1866.
Guerra che si sarebbe potuta evitare poiché l’Austria si era detta pronta a cedere il Veneto per scongiurarla, ma la proposta venne rifiutata dal generale e capo del governo La Marmora.

Questa tragedia è ricordata come “guerra sventurata” in uno dei primi canti pacifisti e antimilitaristi italiani, “El pover Luisin”. E’ la toccante storia di una giovane ragazza lombarda, che perde il suo fidanzato costretto a partire per la guerra.

L’esercito Regio Italiano viene quindi utilizzato per le infami guerre coloniali (Libia, Etiopia, Eritrea) e per “l’inutile strage” (vedi la “Nota ai capi dei popoli belligeranti” del 1 agosto 1917 firmata da Papa Benedetto XV), allora conosciuta come “Grande Guerra” o “Guerra Europea” e oggi ricordata come la Prima Guerra Mondiale, un vero macello di popoli, che si stima sia costata la vita complessivamente a 24.402.000 (oltre 24 milioni di persone e tra esse un quarto, circa 6.700.000, furono i civili).

L’esercito italiano si distinse per l’uso della decimazione, un fucilato ogni 10 uomini, nei casi di insubordinazione ossia di resistenza a farsi massacrare negli inutili assalti ripetuti ossessivamente dai comandi militari “per conquistare un palmo di terra”.

Mio nonno artigliere raccontò a mia madre che, se i soldati rifiutavano di proseguire i sanguinosissimi assalti in campo aperto, venivano fatti deliberatamente oggetto del fuoco amico per convincerli ad avanzare.

Le vittime italiane di questa evitabilissima guerra, poiché di nuovo l’Austria era disposta a cedere Friuli e Trentino, furono non meno di 650.000 ragazzi (ma diversi storici azzardano il numero complessivo di un milione calcolando le decine di migliaia di militari che perirono anche anni dopo in conseguenza delle malattie o delle ferite contratte in guerra).
Questa sarebbe la vittoria del 4 novembre 1918.

Numerose sono le canzoni che ricordano la Grande Guerra in modo assai diverso dalla propaganda retorica della “Leggenda del Piave”; mi vengono in mente la “Ninna Nanna de la guera” musicata partendo da una Poesia di Trilussa, interpretata magistralmente da Gigi Proietti e anche da Claudio Baglioni e la canzone “Gorizia tu sei maledetta”, interpretata dalla grande Giovanna Marini).

Con il fascismo poi l’esercito italiano fu utilizzato in innumerevoli guerre coloniali e di aggressione: l’invasione dell’Albania, la guerra contro la Repubblica di Spagna (con i primi bombardamenti a tappeto contro le inermi città di Bilbao e di Guernica), contro i popoli di Libia, Etiopia, Eritrea, con il corollario dei gas asfissianti, utilizzati in maniera massiccia sfidando la messa al bando da parte della Società delle Nazioni.

L’esercito Regio Italiano si distinse poi durante il fascismo per l’aggressione alla Grecia, alla Jugoslavia e la tragica spedizione contro l’Unione Sovietica al fianco della Germania nazista.

L’8 settembre l’Esercito Italiano si squaglia come neve al sole abbandonato senza ordini e direttive per la viltà del re e di Badoglio, che annunciano l’armistizio con gli anglo-americani per radio, mentre sono già in fuga da Roma, lasciando i soldati in balia di se stessi.

La Resistenza Italiana non nasce quindi dall’Esercito e dai suoi vertici (salvo rare eroiche eccezioni come il generale Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, comandante del Fronte Militare Clandestino, catturato e ucciso in via Tasso), ma dalla dissoluzione dell’Esercito, che porta alla formazione delle prime bande partigiane sia sui monti in Italia, ma anche in Grecia, in Albania, dove opera la brigata Antonio Gramsci, e in Jugoslavia. Bande partigiane formate da antifascisti, comunisti, socialisti, anarchici e anche cattolici: soprattutto uomini, ma anche donne.

Gli uomini erano in gran parte i renitenti alla leva dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana: disertori quindi e non soldati regolarmente inquadrati nell’Esercito.

Questa è la festa che i “Fratelli d’Italia” riesumano a Roma, addirittura con una grande kermesse al Circo Massimo, voluta dal Ministro della Difesa Crosetto a scopo educativo.
Mi dispiace, signori del governo, ma, fedeli all’articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che ripudia solennemente la guerra, per noi il 4 novembre non è festa ma è e sarà sempre una giornata di lutto.