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Catania, il Comune taglia i fondi per i servizi agli Alunni con disabilità: in assenza del personale ASACOM – che supporta i processi di apprendimento e inclusione – si avranno maggiori difficoltà nello svolgimento dei percorsi didattico-educativi

In Sicilia si chiamano Assistenti all’Autonomia e alla Comunicazione (ASACOM), in Italia hanno altre denominazioni, ma l’impegno è comune: mediare la comunicazione fra le persone con disabilità e il contesto nel quale queste sono inserite

Questi operatori sono presenti accanto all’alunno per un numero di ore individuato dalle ASL e certificato nei PEI (Piani Educativi Individualizzati). Un numero di ore che, discendendo da una analisi oggettiva, dovrebbe rimanere costante nel corso dell’intero anno scolastico. A Catania non è così. Il 23 settembre scorso la giunta comunale e il 28 ottobre la Città Metropolitana hanno infatti deciso un taglio del 15% del servizio, con la sola esclusione delle persone con disabilità sensoriale. Esigenze di bilancio dell’ente locale sono state indicate come causa di questi tagli, anche se i fondi regionali previsti per il 2024 non hanno subito ulteriori ridimensionamenti. Ed andrebbe, piuttosto, aperta una riflessione sulla generale insufficienza di tali stanziamenti. Accanto agli studenti, anche gli operatori ASACOM hanno subito le conseguenze di questi tagli, vale a dire la riduzione dell’orario di lavoro e degli stipendi, che anche prima degli ultimi provvedimenti non erano certo “da nababbi”. Un ASACOM, spesso laureato, sempre specificamente formato, guadagna, infatti, mediamente meno di 1200 euro al mese per circa 30 ore di lavoro settimanale. Ogni commento ci sembra superfluo.

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Rinnovabili, l’agrivoltaico è fotovoltaico in altra forma. Il TAR- Puglia sconfessa il Consiglio di Stato: le norme di tutela del paesaggio valgono anche in questo caso

Il TAR Puglia è stato chiamato ad esprimersi circa la legittimità del diniego di un provvedimento unico autorizzativo (Paur) da parte dell’amministrazione provinciale di Brindisi relativo ad un impianto agrivoltaico della potenza nominale di oltre 5 MW da realizzare su oltre 11 ettari in territorio del Comune di Brindisi. Vedremo se il Consiglio di Stato sarà chiamato ad esprimersi su questa sentenza e se confermerà l’orientamento espresso in passato.

Le motivazioni alla base del diniego, ritenute dal TAR fondate ed esaustive, hanno riguardato la prevalenza della tutela del paesaggio sullo sviluppo dell’impianto da fonti rinnovabili (FER) proposto. In particolare la conferenza dei servizi ha evidenziato che «la presenza di altri campi fotovoltaici nelle vicinanze rispetto a quello proposto, fa sì che il campo in questione genererebbe ulteriore artificializzazione dei luoghi nelle loro componenti strutturali e percettive; con riferimento alle componenti antropiche e storico/culturali, e in particolare le componenti dei paesaggi rurali, il progetto compromette la conservazione dei paesaggi rurali storici e la trama agraria che nell’area di intervento, mediante alternanza di colture orticole, uliveto, frutteto, vigneto e seminativi, ha generato il mosaico agricolo tipico della campagna brindisina […]   – infine – gli interventi progettati, riconducibili al sito del campo agrovoltaico, alle cabine di trasformazione e smistamento e al tracciato del cavidotto interrato, comportino pregiudizio alla conservazione dei valori paesaggistici dei luoghi e contrastino con le previsioni della NTA del PPTR e con quanto previsto dalla Sezione C2 della Scheda d’Ambito della Campagna Brindisina, nei suoi Obiettivi di Qualità Paesaggistica e Territoriale e nella normativa d’uso in essa riportati».

da Salviamoilpaesaggio

 

Rapporto sulla Condizione di povertà assoluta 2024- Caritas italiana evidenzia un aumento delle persone in difficoltà, minor numero di tutelati dopo la cancellazione del reddito di cittadinanza e problemi anche per chi ha un impiego

Un italiano su dieci e quasi una famiglia ogni dieci e il fenomeno non fa che peggiorare da diversi anni a questa parte. “Stiamo parlando delle persone che faticano a tirare avanti. Non quelle costrette a risparmiare per arrivare a fine mese, ma quelle che vivono in una condizione di povertà assoluta”

Oggi in Italia, rende noto il Rapporto 2024 realizzato dalla Caritas e presentato oggi a Roma, vive in questa condizione il 9,7% della popolazione. Complessivamente si contano 5 milioni 694mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie (l’8,4% dei nuclei). Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale, risulta ancora il più alto della serie storica, non accennando a diminuire. Se si guarda infatti ai dati in un’ottica longitudinale, dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare. Nel rapporto, dal titolo “Fili d’erba nelle crepe – Risposte di speranza” e ricco di infografiche, si legge che dal 2014 al 2023 il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506mila nuclei a quasi un milione (+97,2%); se si guarda al resto del Paese la crescita è stata molto più contenuta, +28,6% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il dato nazionale è di +42,8%). Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente. L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9% del Nord), anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2%. In Italia più che nel resto d’Europa le difficoltà economiche sembrano destinate a perpetuarsi di generazione in generazione. Chi è cresciuto in famiglie svantaggiate tende a trovarsi, da adulto, in condizioni finanziarie precarie. Un circolo vizioso che colpisce il 20% degli adulti europei tra i 25 e i 59 anni che, a 14 anni, vivevano in una situazione economica difficile. In Italia, il dato sale al 34%, segno di un’eredità che pesa sul futuro. Valori più alti di povertà ereditaria si raggiungono solo in Romania e Bulgaria (Eurostat). Accanto alla questione “settentrionale”, un altro nodo da richiamare è quello della povertà minorile, che da tempo sollecita e preoccupa. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori oggi è ai massimi storici, pari al 13,8%: si tratta del valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età. Lo svantaggio dei minori è da intendersi ormai come endemico nel nostro Paese visto che da oltre un decennio l’incidenza della povertà tende ad aumentare proprio al diminuire dell’età: più si è giovani e più è probabile che si sperimentino condizioni di bisogno. Complessivamente si contano 1milione 295mila bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore. Preoccupa poi il dato sull’intensità della povertà: i nuclei dove sono presenti bambini appaiono i più poveri dei poveri (avendo livelli di spesa molto inferiori alla soglia di povertà).

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