A partire dagli anni Sessanta il lavoro nei porti in tutto il mondo è stato grandemente modificato dall’utilizzo progressivo dei container. Una certa giusta diminuzione della fatica umana, che resta quella, peraltro significativa, di scaricare dal container, è stata accompagnata dalla cancellazione di migliaia di posti di lavoro e dalla perdita della centralità del lavoro sui moli. Oggi questo è limitato al carico e scarico dei container dalle navi con le gru, al tener traccia della movimentazione delle merci da e/o verso i treni o i camion e alla manutenzione dei macchinari portuali.

La partita in gioco nello sciopero è un ridimensionamento della forza lavoro con l’utilizzo di tecnologie che diminuiscono ulteriormente gli organici e le professionalità, quasi cancellando una futura generazione di portuali. Per questo nel mondo si sciopera sui moli, come oggi negli Stati Uniti.

Nel 1934 lo sciopero generale della città di San Francisco iniziò con più di un mese di mobilitazione dei portuali, che si estese a tutti i porti statunitensi del Pacifico, e passò poi dal cosiddetto Bloody Thursday (“il giovedì sanguinoso”), quando la polizia uccise ai picchetti due scaricatori e devastò sedi sindacali e politiche, da una battaglia di strada che durò un giorno intero e da uno sciopero cittadino che coinvolse per 4 giorni 130.000 lavoratori di quasi tutte le categorie ed ottenne alcune conquiste salariali e normative (un collocamento al lavoro più trasparente, meno controllato dalla malavita) e la diffusione del sindacato in tutti i porti della costa occidentale (ed anche in quelli dell’Atlantico).

Da martedì scorso, con vicende per fortuna non così drammatiche, lo sciopero è iniziato negli Stati Uniti in 36 porti dei Grandi Laghi, della costa atlantica e del Golfo del Messico, dal Maine al Texas. Preannunciato 60 giorni fa, come prevede la legge, i negoziati interrotti a giugno per le accuse sindacali al padronato della United States Maritime Alliance (USMX) secondo cui il porto di Mobile, in Alabama, aveva automatizzato (senza confrontarsi col sindacato) il carico-scarico di camion, la trattativa ripresa inutilmente il giorno della scadenza del contratto (il 30 giugno), lo sciopero coinvolge oggi 47.000 iscritti dell’International Longshoremen’s Association (ILA), affiliata alla grande Federazione AFL-CIO.

Con i picchetti che reggono cartelli come “Fight automation. Save Job” (Combattere l’automazione, salvare il lavoro), lo sciopero sta fermando gran parte del flusso di un’ampia varietà di merci, esportate e importate a livello globale, come la metà delle importazioni oceaniche degli Stati Uniti per abbigliamento, frutta e verdura e una grande quantità di manufatti o semilavorati industriali. Le case automobilistiche che producono auto negli Stati Uniti potrebbero rallentare la produzione o imporre licenziamenti temporanei se non riceveranno quel 56% delle parti di automobili e il 71% dei veicoli a motore che sono importati attraverso i porti ora in sciopero.

Negli scali merci di New York e in quello del New Jersey, il più trafficato della costa orientale, 100.000 container sono già in attesa di essere scaricati. E in due giorni sono già le 45 navi in coda di fronte ai porti in sciopero. In ogni caso, ci vorranno settimane per smaltire l’arretrato.

Questo accade mentre altri due fattori stanno influenzando il trasporto marittimo globale: la siccità in corso nel Canale di Panama, che limita il numero di navi che possono attraversarlo, e gli attacchi dei ribelli Houthi nello Yemen, che hanno portato molte navi a prendere una rotta più lunga per evitare il conflitto.

Il Sindacato ILA critica le imprese che intendono utilizzare tecnologie di forte risparmio di lavoro già sperimentate e applicate in alcuni porti di tutto il mondo. I lavoratori sono sicuri che il padronato portuale statunitense voglia indebolire o cancellare il divieto di “terminali completamente automatizzati e apparecchiature completamente automatizzate” che è presente, a loro tutela, nel contratto scaduto.

L’ILA non è particolarmente conflittuale (l’ultimo sciopero in quei porti si era svolto nel 1977 e nei contratti si accetta la clausola di non scioperare durante la vigenza contrattuale) né trasparente (le trattative si sono finora svolte senza diffusione pubblica del loro contenuto e svolgimento). Inoltre l’ILA non prevede quell’indennità di sciopero prolungato che la maggior parte dei grandi sindacati statunitensi paga per supplire all’assenza di salario degli scioperanti. Questo malgrado le retribuzioni dei dirigenti sindacali ILA sia molto elevata (il suo presidente ha guadagnato nel 2023 ben 900.000 euro). Solo i portuali di New York e del New Jersey, dopo due settimane di sciopero, ricevono l’indennità di disoccupazione prevista nel loro Stato.

E’ emerso comunque che la richiesta economica, basata sul recupero dal 2018 della perdita di potere d’acquisto per l’inflazione durante la crisi pandemica, è di un aumento di 5 dollari all’ora ogni anno dei 6 del futuro contratto, che porterebbe la retribuzione, che oggi va da 20 a 39 dollari all’ora, a 69 dollari orari per le retribuzioni apicali. La corrispondente paga per i portuali della costa occidentale è invece solamente di 40 dollari, ma loro hanno una pensione collettiva, che invece manca ai lavoratori di alcuni porti dell’est. Questa è una testimonianza delle distorsioni anti-egualitarie create da un sistema sindacale come quello degli USA che deve affidare non solo la paga, ma anche la sanità e la pensione a contratti che sono in gran parte di singola unità produttiva.

I Repubblicani della Camera dei Deputati, assieme a 170 gruppi industriali rappresentati da varie associazioni imprenditoriali, hanno chiesto all’amministrazione Biden d’intervenire, bloccando lo sciopero, giacché ritengono che, se prolungato, avrà un impatto forte sull’economia. Biden lo aveva già fatto nel 2022, ai sensi del Railway Labor Act, imponendo un accordo insoddisfacente ai ferrovieri. Quella legge per i ferrovieri non si applica ai porti, ma sarebbe applicabile il Taft-Hartley Act, che dal 1947 riduce le possibilità di sciopero e consente al governo federale di imporre un’ingiunzione per “emergenza federale”. Come aveva fatto George W. Bush nel 2002, bloccando uno sciopero di 11 giorni dei portuali della costa occidentale.

Al momento, Biden ha esortato il padronato dell’USMX a “presentare un’offerta equa ai lavoratori”, anche in considerazione del fatto che “i vettori hanno realizzato profitti record durante la pandemia, in alcuni casi cresciuti oltre l’800%” e ha detto che non interverrà per bloccare lo sciopero. Inoltre il Dipartimento dei Trasporti sta “monitorando ogni tentativo da parte delle aziende di aumentare opportunisticamente i prezzi”, approfittando della futuribile rarefazione di alcune merci a causa dello sciopero.

A causa della suddetta storica frantumazione del sindacalismo degli USA, questo sciopero è però parzialmente aggirabile: l’anno scorso, dopo 13 mesi di negoziati, era stato firmato il contratto di lavoro dei portuali iscritti ad un altro sindacato, l’International Longshore & Warehouse Union (ILWU), che lavorano nei porti del Pacifico. Porti nei quali sono stati dirottati già da agosto una parte dei carichi, onde costituire delle scorte di merci in previsione dello sciopero dei porti della costa orientale e del Golfo del Messico. Il sindacato ILWU ha espresso solidarietà ai colleghi in agitazione sulla costa opposta, ma essa non si è ancora concretizzata.

Il sindacato ILA ha esentato dallo sciopero sia le navi da crociera, il tipico viaggio sognato dai lavoratori degli USA, sia le attrezzature militari, molte delle quali in questi mesi viaggiano per nave dirette in Israele e vengono utilizzate per i massacri di Netanyahu. I sindacati dei portuali si sono infatti tenuti fuori dalle iniziative di tanti altri sindacati statunitensi in favore di un cessate il fuoco e per l’interruzione dei rifornimenti di armi ad Israele.

Fonti principali:

DeManuelle Hall, East Coast Longshore Contract Clock Ticks Down, Labor notes, 12.8

Lee, Dockworker strike shuts down ports in the East, threatening big hit to the U.S. economy, Los Angeles Times, 1.10

Brown, Ships Pile Up as Longshore Strike Hits East Coast Ports, Labor Notes, 1.10