È appena iniziato l’iter parlamentare della Legge di Bilancio 2025. Il disegno di legge circolato sui mezzi di stampa presenta quattro profili discriminatori nei confronti delle persone straniere, per i quali ASGI chiede l’intervento del Parlamento.
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L’art. 106 della proposta di Legge eleva a seicento euro il contributo dovuto all’erario per “le controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana”. La norma, facendo riferimento all’accertamento e non alla concessione, sembra trovare applicazione per le sole controversie relative alla cittadinanza iure sanguinis che attualmente pagano già un contributo unificato di 518 euro. Tuttavia la norma prevede anche che “il contributo è dovuto per ciascuna parte ricorrente anche se la domanda è proposta congiuntamente nel medesimo giudizio” introducendo quindi una previsione oggi inesistente; in pratica, tutti i discendenti tra loro collegati, che oggi agiscono in giudizio insieme e pagano un unico contributo di 518 euro, ne pagheranno invece 600 a testa, quindi una somma che può anche essere molto elevata (spesso le cause riguardano congiuntamente 4 o 5 componenti della medesima famiglia o anche di più): questo renderà spesso impossibile, per molte famiglie, la tutela giudiziaria del diritto.
Si tratta quindi di una norma che rende notevolmente più costoso questo tipo di cause e solo queste, perché, per tutti gli altri contenziosi giudiziari con una pluralità di attori (ad es. quando tutti i condomini agiscono insieme), il contributo da pagare allo Stato per accedere alla giustizia è unico.
È presumibile che la previsione intenda scoraggiare le domande di acquisizione della cittadinanza iure sanguinis, quindi richiesta da persone che discendono da emigrati italiani, ma è di tutta evidenza la gravità della scelta.
Se il governo intende ridurre le possibilità di acquisizione della cittadinanza iure sanguinis (e come sappiamo le urgenze sarebbero ben altre e di segno opposto) lo deve fare apertamente, modificando la legge, non certo scoraggiando l’accesso alla giustizia delle persone più povere.
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L’art. 2 comma 10 del disegno di legge modifica la disciplina relativa alle detrazioni fiscali per le famiglie con figli a carico, limitandole ai soli nuclei con figli di età compresa fra i 21 e i 30 anni (le detrazioni per figli di età inferiore ai 21 anni da marzo 2022 sono state assorbite dall’assegno unico universale, mentre finora non esisteva un limite massimo anagrafico per i figli di età superiore ai 21 anni). In merito a tali detrazioni, il testo proposto dal Governo introduce una ulteriore restrizione: per le sole persone con cittadinanza extra UE, sarà possibile accedere alle agevolazioni soltanto per i figli a carico residenti in Italia.
L’esclusione dei figli residenti all’estero dal computo delle detrazioni dei cittadini non UE è in contrasto con il diritto dell’Unione: infatti l’art. 11, comma 1, lett. e) della Direttiva 109/2003 e l’art. 12, comma 1, lett. f) della Direttiva 198/2011 prevedono – rispettivamente per i titolari di permesso di lungo periodo e per i titolari di permesso unico lavoro – la parità di trattamento con i cittadini dello stato ospitante per quanto riguarda le “agevolazioni fiscali”.
Tale restrizione riproporrebbe pertanto il medesimo contenzioso relativo agli assegni al nucleo familiare, che ha determinato in passato costi per la collettività e violazioni di diritti fino a che la Corte di Giustizia e la Corte Costituzionale non hanno definitivamente accertato il diritto dei lavoratori stranieri.
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Tra le misure in materia di famiglia viene introdotto il “bonus nuove nascite” (art. 31), un contributo una tantum di 1000 euro per ogni nuovo figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2025. Nella lista di titoli di soggiorno che permettono di beneficiare del bonus non figura il permesso per protezione internazionale, per il quale invece l’art. 29 della Direttiva 2011/95 impone la parità di trattamento con i cittadini dello Stato ospitante. È pertanto necessario che – anche per ragioni di equità – il permesso di soggiorno per protezione internazionale (rifugiato politico o titolare dello status di protezione sussidiaria) sia inserito nella lista di titoli idonei per la fruizione della prestazione.
4. Infine, il disegno di legge conferma la riduzione della quota contributiva a carico delle lavoratrici madri con almeno due figli, introdotta dalla scorsa legge di bilancio. Come nel 2024, rimangono escluse da tale beneficio le lavoratrici con contratto a termine e quelle con rapporto di lavoro domestico. Proprio su questo punto, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 23.10.24, ha sollevato questione di costituzionalità, ritenendo che tale esclusione possa costituire discriminazione indiretta nei confronti degli stranieri che hanno una presenza statisticamente più significativa in questi due gruppi di lavoratori. Alla luce di tali dubbi di costituzionalità e comunque della irragionevolezza della esclusione (le lavoratrici a termine e le titolari di rapporti di lavoro domestico sono normalmente quelle con retribuzioni più basse) sarebbe doveroso eliminare tale ingiustificata esclusione.