1. Non hanno avuto neppure il coraggio di comunicare in conferenza stampa i veri contenuti del Decreto legge approvato lunedì 21 ottobre dal Consiglio dei ministri, per fare fronte alle ordinanze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento di 12 richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come “sicuri”, e trasferiti nei centri di detenzione in Albania, dopo essere stati soccorsi da navi militari italiane nelle acque internazionali a sud di Lampedusa. La prima lettura della bozza ha rivelato quello che si era soltanto minacciato, l’invenzione di un grado di appello in caso di ricorso contro le decisioni delle Commissioni territoriali. Una fase probabilmente “correttiva” della giurisdizione, che non servirà a rafforzare i diritti di difesa dei richiedenti asilo, ma agevolerà piuttosto il tentativo del governo di impugnare le decisioni sgradite che saranno ancora prese in futuro dalle sezioni specializzate dei Tribunali che dovranno occuparsi della convalida del trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo durante le procedure accelerate in frontiera. Come se non fosse bastata la protesta dei presidenti di Corti di Appello per quanto previsto dal Decreto legge in materia di protezione internazionale approvato dal Consiglio dei Ministri in data 2 ottobre 2024, attualmente in fase di conversione, che attribuisce a queste corti la competenza a giudicare sui ricorsi contro le decisioni delle sezioni specializzate dei Tribunali in materia di riconoscimento della protezione internazionale (o speciale). In ogni caso il ricorso in Appello non inciderà sull’esito dell’operazione Albania perchè in caso di mancata convalida del trattenimento da parte del Tribunale di Roma il richiedente asilo trattenuto nei centri albanesi dovrà necessariamente essere condotto in Italia, venendo meno, malgrado il ricorso in appello dell’avvocatura dello Stato, il titolo di permanenza in un centro albanese.
2. Se si legge attentamente la sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024, si confermano una serie di passaggi interpretativi che vanno ben oltre la dimensione del ricorso individuale, o delle gravi ragioni personali, con ricadute normative più generali che non possono essere ignorate dai giudici nazionali e dal legislatore interno.
Al punto 85 della decisione, si legge come “Conformemente al suo titolo, l’articolo 46 della direttiva 2013/32 riguarda il diritto a un ricorso effettivo dei richiedenti protezione internazionale. Al suo paragrafo 1, detto articolo 46 riconosce a tali richiedenti siffatto diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni relative alla loro domanda. Il paragrafo 3 di tale articolo 46 di detta direttiva definisce la portata di tale diritto, precisando che gli Stati membri vincolati dalla suddetta direttiva devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]» (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
In base al punto 91 “la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere”.
Al punto 94 si aggiunge poi che “anche se il ricorrente nel procedimento principale non ha espressamente invocato, in quanto tale, un’eventuale violazione delle norme previste dalla direttiva 2013/32 al fine di siffatta designazione per sottoporre la procedura di esame di una domanda di protezione internazionale di un richiedente proveniente da detto paese terzo al regime particolare che deriva dalla sua designazione come paese di origine sicuro, tale eventuale violazione costituisce un elemento di diritto che il giudice del rinvio deve prendere in considerazione nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dall’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva”
E in conclusione, al punto 98 della sentenza ”l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso“.
Dal momento che ormai le procedure di convalida dei trattenimenti nelle procedure accelerate e le decisioni sul riconoscimento dello status di protezione da parte delle Commissioni territoriali corrono praticamente in parallelo, non si vede come si possa impedire ai giudici della convalida dei trattenimenti di valutare , anche al di là di quanto addotto dal richiedente asilo, ammesso che abbia potuto fare una richiesta prima dell’udienza di convalida, se la designazione del “paese di origine sicuro” corrisponde alla normativa europea, fin qui espressa dalle Direttive n.32 in materia di procedure e 33 in materia di accoglienza (e trattenimento), fatta salva, per i casi di rimpatrio forzato, l’applicazione della Direttiva 2008/115/CE.
3. Correttamente dunque i giudici del Tribunale di Roma hanno ritenuto “di non poter prescindere dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione, del 4/10/2024, causa C-406/22 – la quale ha affermato che l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all’allegato I di tale direttiva” (par. 83).
Come ricorda il Tribunale di Roma, “La sentenza chiarisce che il principio così enunciato deve trovare applicazione anche nel caso in cui risultino escluse determinate categorie di persone. Infatti, al punto 68, si afferma che «[…] secondo tale allegato, la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. Dunque la violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno è solo una delle cause che impediscono di qualificare uno Stato come paese di origine sicuro.
L’insistenza del governo italiano sul modello Albania, e i ricorsi contro decisioni dei Tribunali che danno attuazione al diritto euro-unitario ed alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di procedure accelerate in frontiera, non avranno l’effetto di fare decollare le attività di selezione, trattenimento ed allontanamento forzato, con le quali il governo Meloni voleva dimostrare all’intero globo terraqueo la sua capacità di deterrenza rispetto ai tentativi di traversata del Mediterraneo, parificando l’ingresso per ragioni di soccorso agli ingressi irregolari. Anzi saranno assai gravi le conseguenze di questa politica a livello europeo. Dopo il parere critico della Commissaria UE agli affari interni, Anita Hipper, secondo cui “Il protocollo Italia-Albania applica il diritto nazionale ma, naturalmente, si applicano anche gli standard stabiliti nella protezione e nelle procedure previste dal diritto comunitario. Abbiamo anche detto che tutte queste misure che le autorità italiane stanno adottando devono essere pienamente conformi e non devono in alcun modo compromettere l’applicazione del diritto e dei trattati dell’Ue”, il costo politico pagato dal governo Meloni potrebbe essere altissimo. I socialisti europei accrescono la loro contrarietà a votare il commissario proposto dall’Italia ed addirittura minacciano la sfiducia alla Von der Leyen, perchè, sostengono: “Gli hub per migranti sono illegali, se li appoggia non la votiamo”.
Come riporta il Fatto Quotidiano,“parte del Parlamento europeo ha deciso di considerare progetti come quello del governo italiano una linea rossa che non sono disposti ad attraversare: la capogruppo di S&D, Iratxe Garcia Perez, ha dichiarato alla stampa che “i Socialisti e Democratici sono contro l’esternalizzazione della gestione della migrazione. Siamo contro la strategia del Ppe e di Meloni, siamo molto preoccupati dal fatto che von der Leyen voglia adottare questa strategia. Voglio dirlo in maniera diretta, così non può contare sul nostro sostegno“, mettendo così in discussione il voto favorevole in Plenaria per il via libera definitivo alla nuova Commissione Ue”. Come conferma purtroppo il più recente voto del Parlamento europeo sulla richiesta dei verdi e della sinistra europea di discutere gli effetti del Protocollo Italia-Albania alla luce delle sentenze del Tribunale di Roma, su questa materia il Parlamento europeo rischia ulteriori spaccature. Anche per il visibile avvicinamento dei popolari ai partiti di estrema destra e, nel corso del tempo, come si potrebbe verificare in Italia con la Corte costituzionale, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea potrebbe risentire dei nuovi equilibri politici a Bruxelles e adottare decisioni maggiormente in linea con orientamenti politici che ormai in modo esplicito tendono all’abbattimento del diritto di asilo in Europa, a respingimenti ed espulsioni di massa ed all’incremento dei processi di esternalizzazione, in vista anche di una maggiore effettività delle operazioni di rimpatrio forzato.
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